Nel 1971 la sospensione della convertibilità del dollaro in oro
Accordi di Bretton Woods, 50 anni dopo la stabilità del sistema monetario è ancora lontana
Nell’agosto del 1971, l’amministrazione Usa decretò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro (35 dollari l’oncia). La grande quantità di richieste di conversione del biglietto verde indussero Nixon alla decisione di sospensione della convertibilità che poi divenne definitiva. Ma era maturato, prima negli studiosi, poi tra i politici l’intento di svincolare la moneta dal legame con il metallo giallo e di renderne più agile e discrezionale la manovra con la politica monetaria. Keynes aveva definito il legame con l’oro «barbarous relic».
Comunque, il 15 agosto del ‘71 veniva meno il sistema monetario internazionale, poggiato sull’àncora dollaro a sua volta legato all’oro, delineato a Bretton Woods alla fine della seconda guerra mondiale, anche se diverso da come lo avrebbe voluto lo stesso Keynes. ma ciò accadeva quando si annunciavano le pesanti restrizioni in Italia e in molti Paesi europei con il primo shock petrolifero, le domeniche a piedi, la sopravveniente austerity. Ne sarebbero seguite misure drastiche sulle banche fino ad arrivare alla chiusura del mercato dei cambi per oltre un mese. Intanto si ingrossavano gli introiti dei Paesi produttori di petrolio e si denominava questa rendita crescente come la “tassa dello sceicco” che diede modo a Guido Carli, allora Governatore della Banca d’Italia, di elaborare un progetto per il reimpiego dei petrodollari incassati dai predetti Paesi che intanto circolavano e venivano denominati come xenovalute.
Da quel 15 agosto il sistema monetario a livello internazionale – se di sistema si può parlare – non ha trovato una sua disciplina. Hanno agito gli organismi finanziari internazionali, il Fondo monetario, la Banca mondiale, più di recente lo Stability Board, con poteri settoriali; hanno svolto un qualche ruolo il G7, il G8 e il G20 e altri summit informali. Specifici coordinamenti si realizzano per la regolamentazione delle banche, in particolare presso la Banca dei regolamenti internazionali. Ma una funzione fondamentale è stata assolta dalle principali Banche centrali, innanzitutto dalla Federal Reserve e dalla Bce (nell’ultimo ventennio) nel coordinare, e non sempre, informalmente le rispettive politiche. Questi istituti, tuttavia, hanno curato, “in primis”, come del resto è naturale, gli interessi delle rispettive aree.
Fare del Fondo monetario internazionale una sorta di Banca centrale mondiale, una specie di nuova àncora come forse l’avrebbe voluto Keynes – il quale aveva progettato una moneta globale, il “bancor” – preposta all’analisi e al controllo della liquidità internazionale è stata l’idea di alcuni personaggi autorevoli, tra cui Antonio Fazio, che tuttavia per ora non ha compiuto i pur possibili passi in tale direzione. In occasione del Giubileo del 2000 e, poi del G20 di Londra del 2009, fu rilanciata la proposta di istituzionalizzare la categoria dei “beni pubblici globali” ( l’acqua, il cibo, le medicine), ma si tratta di un’aspirazione rimasta tale, come quella, forse utopistica, di definire un nuovo diritto internazionale pubblico, un nuovo “ ius gentium”.
La crisi del 2008 dei subprime, poi dei debiti sovrani e quella ancora stringente del covid-19 dimostrano la necessità di far progredire l’analisi e le proposte se non altro per coordinare e integrare le manovre monetarie a livello internazionale. D’altro canto, se si pensa alle difficoltà che si incontrano nell’integrazione europea che si vorrebbe attuare disconoscendo “in toto” il principio di sussidiarietà, cioè le autonomie dei singoli partner comunitari benché si tratti di un principio posto a base dei Trattati di Roma, si può dedurre come sia più difficile un processo di raccordo a livello internazionale. Eppure, anche per prevenire, fin dove possibile, le crisi finanziarie internazionali, la via dei raccordi più stretti appare inevitabile. La riacquistata libertà, a suo tempo, nei confronti dell’oro carica ancor più di responsabilità coloro che reggono la cosa pubblica. Dopo cinquanta anni è ancora la deduzione che si deve trarre.
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