«Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare», affermava Luigi Einaudi nella più famosa delle sue prediche inutili. Nessun nobile precedente può essere più calzante per rappresentare la situazione attuale che si sta delineando in Europa, a proposito del piano di intervento da oltre 3.000 miliardi di euro messo in campo congiuntamente da Banca Centrale Europea e Unione Europea. Con la differenza, come vedremo, che mentre per la prima (Bce) l’importo (oltre 1.000 miliardi di euro attraverso il Quantitative Easing) e le modalità sono ormai storia e prassi di intervento, per la seconda (oltre 2.000 miliardi) non c’è ancora nessuna risposta e relativa tecnicalità immediatamente disponibile.

Nella riunione del Consiglio Europeo di ieri (giovedì per chi legge ndr) è stato raggiunto un accordo di massima tra i vari Capi di Stato e di Governo sul framework complessivo degli interventi, sui 4 pilastri d’azione e sull’ammontare totale. L’accordo è certamente una buona notizia, in quanto il fallimento del tavolo negoziale avrebbe scritto una brutta pagina per l’Europa e avrebbe dato un pessimo segnale ai mercati finanziari, che sono in attesa di capire come si muoverà l’Europa per fronteggiare la crisi economica e finanziaria. Eppure, leggendo le poche carte a disposizione e ascoltando le molte dichiarazioni rilasciate dopo la riunione di ieri, la cosa che emerge è la totale assenza di dettagli, quelli senza i quali il piano resta inattuabile o solo un wishful thinking.

Le principali domande per le quali si attendevano le risposte non sono arrivate per niente. A quanto ammonteranno le dotazioni per i singoli pilastri? Il totale deciso è da interpretare come risorse cash, come massimo a disposizione dopo che le istituzioni europee si saranno indebitate, oppure come effetto leva azionato nel mercato privato per effetto delle risorse comunitarie stanziate (che a questo punto ammonterebbero a circa 10-15 volte meno di quello dichiarato)? Quali saranno gli strumenti di indebitamento utilizzati? Con quali tassi d’interesse, con quale scadenza? Si tratterà di prestiti o di trasferimenti a fondo perduto? Ecco, a tutte queste domande le risposte ancora mancano. E, per questo, deliberare, al momento, non è possibile.

Attendiamo tanto la data del 6 maggio, con le proposte della Commissione Europea, quanto quella del 1° giugno, data entro la quale dovrà essere presentato il pacchetto da 500 miliardi di euro, comprendente i 3 pilastri finanziari BEI, MES e SURE. Per questo motivo, è necessario, prima di poter dare un giudizio su questo maxi piano finanziario senza precedenti, vedere le carte. Non è possibile prendere una decisione a proposito dell’aderire o meno ai 4 pilastri, senza prima aver letto come questi saranno strutturati. È bene chiedere al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte di parlamentarizzare il dibattito europeo, portando alle Camere tutti i documenti sottoscritti e discussi nelle riunioni europee alle quali ha partecipato, in maniera che questi possano essere analizzati e discussi dalle istituzioni italiane che possono esprimere, sul tema, un congruo parere (Banca d’Italia, Corte dei Conti, Ufficio Parlamentare di Bilancio, Confindustria, sindacati, ecc.).

Tutto questo dovrebbe avvenire in sede parlamentare in una opportuna sessione di lavori con commissioni congiunte Camera e Senato e con tutte le audizioni possibili, come normalmente si fa per le Leggi di Bilancio. Noi pensiamo che in questo momento la scelta europea sia imprescindibile e necessitata: questa però non deve essere né fideisticamente positiva, né aprioristicamente negativa. A dire di sì dovrà essere un Parlamento consapevole e responsabile assieme ad un Paese opportunamente informato. Questo è il solo percorso in grado di dare al nostro Governo e al nostro Presidente del Consiglio il maggior potere negoziale. La migliore risposta all’Europa, ai mercati e soprattutto agli italiani.