La Giustizia ha segnato ancora una volta la vita di una persona. E lo ha fatto in modo negativo. Massimiliano Prosperi, 53 anni, è l’ennesima vittima di una condanna ingiusta e adesso si trova privato dei suoi beni e della sua dignità.

Il 53enne, accusato di essere il mandante di un omicidio di Sesto Corvini, un 74enne ucciso a colpi di pistola il 9 ottobre 2013, è finito in carcere per tre anni nel 2015.
Poi è arrivata l’assoluzione il 19 giugno del 2018: esce dall’istituto penitenziario di Regina Coeli, dove era entrato il 14 luglio del 2015. Ma ne esce un uomo distrutto. L’uomo è segnato dal percorso accidentato e tortuoso della giustizia italiana.

Il terribile momento arriva il 27 aprile del 2016, quando il giudice di primo grado lo condanna a 30 anni di carcere. Il magistrato fonda la sua decisione sulla testimonianza di un pentito, Giancarlo Orsini, che accusa Prosperi di essere il mandante dell’anziano signore.

Nei due gradi di giudizio successivi, qualcosa cambia. La prima corte d’Assise d’Appello assolve Prosperi “per non aver commesso il fatto” il 13 giugno 2017. Per il 53enne è una boccata d’ossigeno. Ma l’ultima parola spetta alla Cassazione. La Suprema Corte si pronuncia il 19 giugno del 2018: Prosperi è libero. Non è lui il mandante.

Lo Stato, che lo ha ingiustamente arrestato, però non vuole assumersi le responsabilità di aver rovinato economicamente e psicologicamente la famiglia della vittima della mala giustizia.

Oltre al danno, c’è la beffa. Infatti, non sono ancora arrivati i 40mila euro che il ministero dell’Economia dovrebbe versare come risarcimento per i 132 giorni trascorsi in cella. Il dicastero non ha ancora liquidato la somma stabilita dopo una sentenza definitiva del 9 marzo 2021. Prosperi, rappresentato dal suo avvocato, Alì Abukar Hayo, condanna: “Questa è l’ennesima ingiustizia”.

Prosperi, in difficoltà economica, ha dovuto reinventarsi all’età di 50 anni: dopo essere uscito dal carcere, nonostante fosse innocente, l’ambiente in cui lavorava gli ha voltato le spalle. L’uomo era a capo di una piccola azienda che si occupava di garantire la sicurezza delle più esclusive boutique della Capitale. Ma il nome della sua azienda è stato marchiato: Prosperi ha riprovato a mettere su l’impresa, ma i pregiudizi erano troppi. L’uomo ha così gettato la spugna e ha chiuso l’azienda, sogno di una vita. Per poter sopravvivere e mantenere la sua famiglia, il 53enne si è reinventato e ha iniziato a fare il muratore.

L’avvocato dell’uomo Alì Abukar Hayo promette battaglia: “Il mio assistito chiede aiuto per porre fine alla sua disperazione dovuta al fatto che lo Stato l’ha punito ingiustamente due volte. Prima arrestandolo preventivamente per 6 mesi, poi condannandolo ingiustamente a 30 anni di reclusione. E, per giunta, oggi, il ministero dell’Economia e delle Finanze non esegue la decisione della Corte di Appello di Roma, che ha liquidato, in favore di Prosperi, la somma di 40.000 euro a titolo di equo indennizzo per ingiusta detenzione in data 9 marzo 2021. Purtroppo siamo stati ignorati, nonostante i numerosi solleciti, ma non ci arrenderemo e, se costretti, pignoreremo la scrivania del ministro».

Redazione

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