Il caso
“Accuse contro Fabozzi generiche e senza riscontri”, così i giudici hanno assolto l’ex consigliere regionale

Ecco come si può finire sotto processo, essere messi alla gogna e restare per dieci anni sospesi al filo della giustizia, solo per accuse di collaboratori di giustizia che saranno ritenute alla fine «generiche, contraddittorie, prive di adeguati riscontri». Ecco la storia di Enrico Fabozzi, ex sindaco di Villa Literno ed ex consigliere regionale del Partito democratico. La sua vita di uomo, imprenditore e politico fu devastata da accuse che si scopre oggi, con il deposito delle motivazioni della sentenza della Corte di Appello che tre mesi fa lo ha mandato assolto «perché il fatto non sussiste», non poggiavano su alcun solido fondamento.
In 126 pagine i giudici della seconda Corte d’appello ripercorrono i passaggi cruciali del processo, analizzando punto per punto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Siamo nel Casertano e i pentiti sono ex boss e reggenti del potente clan dei Casalesi. Il periodo storico è quello di inizio Duemila, alla vigilia delle elezioni comunali del 2003 a Villa Literno. I fatti al centro del processo ruotano attorno agli interessi che la camorra, attraverso ditte amiche, ha per alcuni appalti e a presunti accordi con la politica locale. «Gli appelli sono fondati», scrivono i giudici condividendo la tesi dell’avvocato Mario Griffo, difensore di Fabozzi. Le accuse dei collaboratori si sono rivelate non coerenti per i giudici del secondo grado. Incrociando i ricordi, le testimonianze, le ricostruzioni di tempi, incontri e luoghi, i giudici non hanno ravvisato riscontri, conferme, coerenza. E così l’attendibilità di collaboratori come Massimo Iovine, Nicola Schiavone, Diana e Ziello è stata messa in dubbio.
Nelle prime dichiarazioni – si ricostruisce nella sentenza – Iovine si limita a coinvolgere il candidato al Consiglio comunale senza alcun cenno a contatti diretti o indiretti con Fabozzi, passaggio illogico secondo la Corte d’Appello dal momento che non si comprende come un semplice componente del Consiglio comunale potesse garantire personalmente favoritismi nell’assegnazione degli appalti. Perché questa era la tesi accusatoria: Fabozzi avrebbe raccolto favori elettorali in cambio di favoritismi nell’assegnazione di appalti. Ma Iovine non fa cenno a incontri con Fabozzi se non all’esito del confronto con Diana, giustificando il ritardo nel ricordare con lo stato confusionale dovuto a un lutto familiare avvenuto nelle settimane precedenti. Eppure, osservano i giudici nella motivazione, «l’omesso coinvolgimento di Fabozzi riguarda interrogatori precedenti anche di anni». Come a dire che la giustificazione non convince.
E non ha convinto nemmeno la ricostruzione dei fatti perché Fabozzi – spiegano i giudici della Corte d’appello motivando l’assoluzione dell’ex sindaco – in quanto il candidato sindaco era l’unico che poteva trattare lo scambio elettorale perché era l’unico che poteva garantire la gestione degli appalti e la loro assegnazione in favore di imprese gradite ai clan. «Ne consegue che incontri e trattative non sono dettagli trascurabili che si ricordano solo nel corso di un confronto». E poi ci sono le discordanze nella ricostruzione di tempi e luoghi. Nel processo di secondo grado la difesa di Fabozzi ha evidenziato la confusione dell’accusa nella cronologia dei fatti, tanto che le contestazioni che venivano mosse all’ex sindaco apparivano slegate tra loro dal punto di vista cronologico: il voto di scambio del 2003 era posto in relazione al concorso esterno che si sarebbe materializzato attraverso un accordo postumo alla tornata elettorale e collegato a una corruzione del 2007 e alla turbativa d’asta costruita su matrici politiche e comunque successiva all’arresto dell’ex esponente dei Casalesi Luigi Guida nel luglio del 2005.
«Una ricostruzione del tutto illogica», secondo l’avvocato Griffo. Tesi accolta dai giudici. Le 126 pagine che spiegano i motivi dell’assoluzione mettono un ulteriore punto alla vicenda giudiziaria. Intanto però sono trascorsi dieci anni dall’arresto di Fabozzi, che rimase per undici mesi in cella prima di essere scarcerato ed ha atteso dieci anni prima che la giustizia confermasse la sua estraneità ai fatti.
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