Uno dei temi più dibattuti del momento in molti sport a livello mondiale è il sovraffollamento dei calendari. Si gareggia troppo e gli atleti si infortunano sempre di più, ma anche il pubblico si mette meno davanti alla tv, perché tanto se non vinco oggi c’è una rivincita domani. Il calcio per diffusione e popolarità è il primo con questo problema, basti dire che i club si stavano radunando per la nuova stagione mentre l’Europeo era ancora in corso; ma anche pallavolo e tennis, per citarne due al momento assai popolari in Italia, non sono da meno. Le emozioni olimpiche quadriennali invece hanno dato a tutti gli sport una lezione che dovrebbero imparare per non finire, tra qualche anno, a lamentarsi di aver bruciato sopra una pira di denaro una tradizione secolare.

La rarità degli eventi

Cosa ci dicono le lacrime di Novak Djokovic, al suo primo oro olimpico dopo essere diventato il giocatore ad aver vinto più tornei del Grande Slam in carriera, o la maledizione degli azzurri del volley pur pluri iridati (e campioni del mondo in carica), per la medaglia più importante in quest’ottica? Che la rarità degli eventi è un valore importantissimo da preservare e che tifosi ed atleti insieme dovrebbero difendere, sottrarre alle logiche dei burocrati federali. Purtroppo nel mondo si va in tutt’altra direzione. Prendete la pallavolo: dal 2025 si giocherà il mondiale ogni due anni, realizzando un piano assurdo che precedentemente era stato tentato anche dalla Fifa nel calcio. E così i pallavolisti che giocano già un torneo all’anno per nazioni (la Volleyball Nations League) si troveranno praticamente a contendersi 6 titoli rumorosamente considerati “mondiali” in 4 anni oltre naturalmente all’oro Olimpico che pure è mondiale, ma che fortunatamente non si svaluta e mantiene la sua unicità.

E che dire della pallanuoto? Delusissimi gli azzurri, che lo scorso anno persero anche una finale mondiale. Ma oggi di più: tanto i mondiali di pallanuoto si disputano ormai ogni anno. Che senso ha? Le stesse Olimpiadi, in tutta sincerità, erano meglio celebrate dal concetto di anno olimpico, e probabilmente la divaricazione non ha fatto bene alle invernali: ma per gli atleti rimane pur sempre un evento quadriennale a cui si può arrivare 3 volte nella vita, nella migliore delle ipotesi, quattro o cinque per discipline particolari, ma in genere eventi veri perché rarissimi.

La decisione degli atleti

E così, paradossalmente, in alcune discipline ci sono sport iper professionistici che stanno dando alle Olimpiadi un valore superiore perché sono gli atleti, e non la politica, a deciderlo. Prendete il basket, dove la nazionale Usa ha schierato quest’anno una squadra nettamente più forte di quella dei Mondiali Fiba dello scorso anno, semplicemente perché i campioni Nba si chiamarono fuori preferendo l’oro olimpico ad una logica federale in cui faticano a riconoscersi per background culturale (negli USA le leghe sono realmente indipendenti dalle federazioni).

Insomma, nell’epoca degli algoritmi che pretendono una sovrapproduzione di contenuto in nome della notorietà, dei calendari svalutati e delle televisioni che non fanno più a gara per aggiudicarsi eventi sempre più inflazionati, l’Olimpiade ci riporta ancora una volta al senso di eccezionalità che dovrebbe ammantare le vere imprese sportive.