Il problema vero dello scontro al calor bianco, tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, è la presidenza del consiglio. Il leader 5s vorrebbe essere alle prossime politiche il candidato inquilino a Palazzo Chigi, viceversa il leader di Iv sta tirando la volata per la Schlein. In brodo di giuggiole la Meloni, dato che gli attori dell’opposizione vivono ancora allo stato brado, nel campo largo. Sulle due guerre, e la conseguente politica estera su cui l’opposizione dovrebbe essere unita e compatta, è un delta fluviale: gli atlantisti, i putiniani, i trumpiani, gli harrisiani, i zelenskyani, i filo palestinesi e i pro Israeliani, i pacifisti e i pancifichisti. Basta e avanza.

Il cambio di paradigma

Beninteso, se l’arco dell’opposizione vincesse le lezioni politiche, avremmo l’arlecchinata, in politica estera. Sennonché Conte, quando trova convenienza, si smarca, come nel caso del Cda della Rai, oppure mette il veto a Iv, come è successo alle regionali della Liguria. Dall’editto contiano, Renzi dovrebbe trarre una lezione: il cambio di paradigma politico non si fa con un gol fuori gioco. Il funambolismo non porta bene alla politica, per questo gli avversari se la sono legata al dito e vogliono “rottamarlo”. Talvolta la nemesi ritorna implacabile. Renzi è considerato da Conte come il killer del suo secondo governo, la cui caduta portò alla presidenza del consiglio Mario Draghi, ritenuto quindi l’usurpatore. Dio perdona, il leader 5s no. E ne ha per tutti, tranne per Bettini e Bersani, cioè per tutti quelli dell’ex Articolo Uno e di Avs che sono a suo favore e in odio a Renzi. Anzi, ogni giorno rincara la dose di improperi. Sui referendum è stato favorevole alla raccolta firme per quello sull’autonomia differenziata, ma ha evitato come la peste quello sulla cittadinanza.

La sindrome del Premier

Se la leader dem continuasse a predicare l’alleanza con il M5s senza aprire in modo organico ai moderati, alla lunga si ritroverebbe prigioniera di Conte non avendo delle forze moderate che le facciano da sponda. Tant’è che la politica della Schlein, al momento, sta mostrando i propri limiti, avendo sulla testa la spada di Damocle contiana. Nel momento in cui si dovrà decidere la candidatura per Palazzo Chigi, Conte si proporrà e di questo dovrà essere consapevole Schlein. Il leader 5s ha la sindrome del premier, e quindi si giocherà le carte in modo spregiudicato trovando interlocutori nella sinistra dura e pura, tenuto conto che i 5s sono già nella sinistra europea –The Left- a Strasburgo.

Inoltre con Trump presidente, Giuseppi si sentirebbe più forte. Qui entrano in campo i Dioscuri all’incontrario: Renzi e Calenda. Il toscano fa di tutto per essere avvinto come l’edera alla leader dem, l’azionista al contrario mostra autonomia dalla Schlein e parla ancora di centro. Entrambi distruttori di un progetto politico ancora valido, al di là dalla radicalizzazione degli estremi, sono stati svuotati con la fuoruscita di parlamentari.