L'eretico
Addio Eduard Limonov, scrittore la cui opera d’arte è stata la sua vita
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C’è spazio nel mondo odierno per la figura di vecchia tradizione dello “scrittore maledetto”? Cioè per chi vive ai margini, si ritrova sempre dalla parte sbagliata della storia, destruttura le certezze dei nemici e anche degli amici? È la domanda che mi sono sempre posto a proposito di Eduard Limonov, morto ieri in ospedale a Mosca all’età di 77 anni. E che credo si ponesse anche lui, vivendo fino in fondo la contraddizione che era la sua vita e la sua opera, letteraria e non. Anzi vita e opera erano, in lui, una sola cosa.
Si può oggi concepire la propria vita come opera d’arte e non farla essere rappresentazione mediatica? Nell’epoca, dico, della sua “riproducibilità tecnica”? Intanto, il sistema dei media, che tutto fagocita e che include ed esclude a suo piacimento. Per virtù propria o altrui (nella fattispecie soprattutto quella di Emanuel Carrère), volendolo o disdegnandolo, e anzi quanto più lo disdegnava, Limonov era “dentro”. Lo dimostra il fatto che oggi stiamo tutti qui a parlarne. Forse però è lui stesso che ha detto le parole più “sincere” su di sé, nel gioco di specchi fra autentico e inautentico, verità e falso, provocazione vera e “finta”, fra ricerca della pubblicità e fuga dal mondo, che è la sua vita. “La mia vita non è importante, è solo un’occasione per parlare dell’epoca”.
Prendiamolo alla lettera, e seguiamolo nelle sue peregrinazioni: Mosca (1967), New York (1973), Parigi (1980), di nuovo Mosca (1993). Già nel periodo giovanile della sua prima vita moscovita, egli, per quel poco che consentiva la cappa soffocante del regime, sta dalla parte dei “dissidenti”. Non ne è amato però, perché non è presentabile: è un “teppista”, come chiama il regime quelle persone che si muovono fra piccolo cabotaggio delinquenziale e tutto sommato inoffensiva opposizione politica. Come dire: sono, forse, con voi, ma voi non mi avrete mai. Nessuno lo avrà mai, in effetti. O forse lo avranno tutti. Intanto, comincia a scrivere e ad autoriflettersi nelle sue opere, che sono sempre più o meno autobiografiche, nella misura in cui può ridursi lo scarto fra vita e arte in un letterato di vivida fantasia, e per di più “imbroglione”, quale è lui.
È però a New York che tutta la sua vitalità, non solo creativa, esplode. Nella Grande Mela delle contraddizioni e delle fortune e sfortune rapide, Limonov diventa un personaggio. Da frequentatore di postriboli e senzatetto, senza una lira in tasca lui stesso, da esponente della subcultura punk, arriva a servire come maggiordomo a casa di ricchi.
La Parigi dei radical chic era il suo ambiente naturale, e lì finisce. E probabilmente sollecita allora l’attenzione di Carrère (il romanzo a lui dedicato dallo scrittore francese uscirà nel 2011).
La trasgressione salottiera lo adora, ma fino a un certo punto o a un certo momento. Con una uguale nonchalance egli frequenta la destra e critica la perestroika, scandalizzando i “nuovi conformisti” che credono di essere anticonformisti. Cosa fa in questo caso Limonov se non mettere in contraddizione la sua epoca, cioè uno spaccato significativo di essa? Con la caduta del Muro, il nostro intuisce che la sua Russia è il posto ove le sue sperimentazioni e provocazioni possono trovare terreno fertile: quando un regime cade, lo spazio per la creatività si dischiude fino all’estremo.
Ma come provocare, a Est come a Ovest, ora che son tutti liberali (a parole) e che i totalitarismi, dicono, son morti per sempre? Scendendo in politica e fondando un partito “ircocervo” che i vecchi totalitarismi li mette tutti insieme: nasce così l’esperienza del Partito Nazional Bolscevico, che mette insieme la svastica e la falce e martello. E che raduna attorno a sé giovani rockettari, metallari, punk, ipertatuati, rasati, borchiati, ecc.
Può vivere il fascismo classico nella ipermodernità dei labili simboli aggregativi? Lui, per rinforzare il messaggio, era andato pure a Sarajevo a farsi ritrarre col mitra in mano pronto a sparare accanto al più impresentabile di tutti: il leader serbo radovan Karadzic. Finisce pure due anni in carcere, fra il 2001 e il 2003.
Aspro come un limone ed esplosivo come una granata (Limonka in russo), Limonov (il cui vero cognome era Savenko) resta negli ultimi anni nella Russia “normalizzata”, ma la sua fama è ormai mondiale. L’opposizione a Putin era inevitabile. Opposizione al nuovo zar, e opposizione a tutto. Era Limonov, prendere o lasciare.
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