Riguardava tutti. Riguarda tutti. Il Referendum per una Giustizia Giusta era un’occasione, per tutti, di riformare un sistema che non funziona. Per dare un segnale, per iniziare a muovere i primi passi verso il cambiamento della giustizia. E invece è stata un’occasione persa: continueremo a vivere in uno stato di polizia e non in uno stato di diritto. Continueremo ad avere un Consiglio Superiore della Magistratura governata dalla politica e dallo strapotere delle correnti, ad avere celle che scoppiano perchè le sentenze si aspettano in carcere, pazienza posi se si è innocenti. Continueremo ad avere magistrati bravi, bravissimi o eccellenti perchè continueranno ad autovalutarsi.

Continueremo ad assistere al passaggio dalla funzione requirente a quella di giudicante come se niente fosse. Addio imparzialità. Continueremo a vedere funzionari della pubblica amministrazione, sindaci e consiglieri terrorizzati o nel tritacarne della gogna mediatica grazie al decreto Severino. Tutto questo perchè abbiamo deciso di voltarci dall’altra parte, solo perchè ora forse non siamo noi quelli seduti al banco degli imputati e la magistratura non ci fa poi così paura. Forse abbiamo perso di vista quando è invadente nella nostra vita. Quanto è anche pericolosa. Forse, o sicuro, visto che l’affluenza alle urne per votare Sì ai cinque quesiti abrogativi è stata ai minimi storici: poco superiore al 20,9%. Questo il dato definitivo fornito dal Viminale che ha completato il calcolo della partecipazione al voto nei 7.903 comuni italiani. Per nessuno dei quesiti è stato dunque raggiunto il quorum.

Nel dettaglio, il quesito sulla Legge Severino ha avuto un’affluenza del 20,95%, la più alta. Limiti agli abusi della custodia cautelare in carcere: affluenza del 20,93%; stessa percentuale anche per il quesito sulla separazione delle carriere dei magistrati. Affluenza al 20,92% per gli altri due quesiti: equa valutazione dei magistrati e riforma del Csm. Come si sono comportati gli italiani? La Liguria è la regione in cui c’è stata l’affluenza più alta, mentre il Trentino Alto Adige è quella dove è andato alle urne il minor numero di elettori. E ora, la sorpresa più amara: tra le grandi città italiane la peggiore è stata Napoli, qui urne deserte e un’affluenza ferma al 5%. Proprio qui, nella capitale degli errori giudiziari, nella Regione dei processi più assurdi, qui dove le carceri scoppiano e gli indennizzi per ingiusta detenzione sono alle stelle. Sì. Non abbiamo votato, non abbiamo cambiato nulla. Possiamo continuare ad avere paura.

Riforma del Csm: sarà ancora lo strapotere delle correnti a scegliere i membri del Csm
Possiamo dire addio al sogno di un Consiglio Superiore della Magistratura composto da membri competenti e scelti in base al loro percorso. Continueranno a trionfare la politica e lo strapotere delle correnti. Come funzionava e come continuerà a funzionare? Il Csm è presieduto dal Presidente della Repubblica che è membro di diritto al pari del Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore Generale presso la stessa corte. Gli altri 24 componenti sono eletti per due terzi dai magistrati, scelti tra i magistrati, mentre il restante terzo viene eletto dal Parlamento in seduta comune. Un magistrato che voglia candidarsi a far parte del Csm deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme e, pertanto, nei fatti deve avere il sostegno di una delle correnti.

Questo si traduce in una magistratura composta da membri scelti non sulla base di una valutazione reale delle competenze e della carriera svolta fino al momento della candidatura al Csm, bensì sull’appartenenza a quella corrente che si impegna a sostenerlo. Le correnti si muovono spesso in un’ottica di promozione del gruppo e non sono certo utili per garantire giustizia ai cittadini. Con il Sì avremmo abrogato l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto di trovare dalle 25 alle 50 firme per presentare la candidatura: tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del Csm presentando semplicemente la propria candidatura. Avremmo avuto votazioni on al centro il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico. E invece niente trasparenza e democrazia. Addio credibilità.

Equa valutazione dei magistrati: continueranno a valutarsi tra di loro e a dire che sono tutti bravissimi
Vi siete mai chiesti perchè i giudizi negativi sul lavoro di un magistrato sono pochi, pochissimi se non inesistenti? Perchè si giudicano tra di loro. Sì: un magistrato viene giudicato da un suo collega. Saremo pieni di valutazioni che recitano più o meno tutte la stessa cosa “lavoro eccellente” o “molto buono”, mai uno che abbia lavorato semplicemente “bene” o “male”. Eresia. La cultura del magistrato continuerà a essere autoreferenziale, Non troverete mai, ad esempio, nella valutazione di un PM alcuna menzione del numero di persone inquisite o arrestate che sono poi state assolte con formula piena. Molto spazio invece alle “complesse e delicate indagini”, che hanno portato all’arresto di soggetti accusati di “crimini gravissimi”.

E poi? Che esito hanno avuto i processi? Nessuno se ne preoccupa. Non si fa alcuna differenza tra un magistrato scrupoloso e attento e un altro che magari sbaglia frequentemente o prende decisioni affrettate e irresponsabili. La “pratica” si compone infatti di un’autorelazione, un documento nel quale il candidato ha modo di esaltare i suoi molti meriti, senza fare menzione dei demeriti, dal “parere” del capo dell’Ufficio e da quello del Consiglio Giudiziario, fino alla decisione del CSM, composto in stragrande maggioranza da magistrati. Con il sì potevamo rendere piena la partecipazione dei componenti laici ai lavori dei Consigli giudiziari e del Comitato direttivo della Corte di cassazione, estendendola anche alla formulazione dei pareri sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, oggi riservata solo ai togati. Ma tranquilli, in giro ci sono solo magistrati bravi e scrupolosi…

Separazione delle carriere: pm e giudici saranno sempre seduti dalla stessa parte, addio imparzialità
Possiamo dire addio pure all’imparzialità, alla terzietà e all’indipendenza del giudice. Siederemo sempre al banco degli imputati con la consapevolezza che il signore che ci giudicherà sarà un uomo pieno di condizionamenti. Paura? Sì, tanta, tantissima. La separazione delle carriere dei magistrati risultava fondamentale per garantire l’imparzialità del giudice e quindi, una giustizia giusta. Oggi, infatti, il sistema consente al magistrato che abbia intenzione di farlo di transitare dalla funzione giudicante a quella requirente. Questo meccanismo, fondato sulla indistinzione dei ruoli di ordinamento giudiziario, genera pericolosi condizionamenti dai quali la cultura del giudice dovrebbe, invece, restare immune.

L’Ordinamento Giudiziario attuale non prevede distinzione di ruoli tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti, per cui il magistrato in funzione di Pubblico Ministero condivide il medesimo “contesto” del magistrato giudicante sia in sede di reclutamento che nelle successive fasi che ne scandiscono la carriera. Così pm e giudice si caratterizzano unicamente per la funzione, che tuttavia può essere abbandonata dal magistrato con il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle del Pubblico Ministero e viceversa. Con il sì avremmo arginato la promiscuità” di ruoli tra giudice e pubblico ministero, avremmo promosso la necessità per il magistrato di scegliere all’inizio la funzione che intende svolgere, avviando il fondamentale processo di separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti. E invece nulla… ci terremo le porte girevoli, tanta confusione e poca imparzialità.

Limiti agli abusi della custodia cautelare: molti innocenti attenderanno la sentenza in carcere
Qui giustizialisti e populisti con le manette sempre pronte all’uso avranno esultato non poco. I fautori del carcere come unica risposta prima, durante e dopo il processo avranno festeggiato. E invece, c’è da piangere. E sì, anche in questo caso, c’è da avere non poca paura. Il quesito numero quattro centrava uno dei temi più delicati: l’uso della custodia cautelare. Impatta con i più grandi nodi della giustizia: quello delle carceri che scoppiano, dei processi eccessivamente lunghi e delle ingiuste detenzioni che lo Stato – quindi anche noi cittadini – dobbiamo risarcire. E si propone di fermare un fenomeno che in pochi sono disposti ad ammettere ma esiste eccome: negli anni la custodia cautelare, da misura preventiva, si sta trasformando in una sorta di anticipazione della pena. Perché che i processi sono troppo lunghi.

Con il sì avremmo fermato un eccesso che è sotto gli occhi di tutti, basta leggere i dati dei bilanci annuali della giustizia: in Italia circa mille persone l’anno finiscono in cella in attesa di giudizio, praticamente uno su tre. Una situazione intollerabile, contraria a qualsiasi principio di civiltà, anche perché non abbiamo un apparato carcerario in grado di assicurare per ogni detenuto quel minimo di spazio vitale. Il referendum giustizia garantirebbe una giustizia più giusta anche a vantaggio dei magistrati. Votare Sì potrebbe, infatti, evitare tante ingiuste detenzioni: nel 2020 a Napoli 101 casi, un record. Ma niente da fare, prima manette e carcere, poi il processo… con calma. Poco importano le vite devastate, gli errori dei magistrati e l’innocenza. Intanto si va in carcere, poi si vede.

Abolizione del decreto Severino: continuerà a trionfare la paura della firma e la gogna… a prescindere
Il decreto Severino è una delle motivazioni per le quali in Italia qualsiasi pratica che debba passare per la pubblica amministrazione diventa uno strazio. C’è la paura, anzi, il terrore della firma. E il motivo è presto detto. Il decreto legislativo che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Per coloro che sono in carica in un ente territoriale basta anche una condanna in primo grado non definitiva per l’attuazione della sospensione, che può durare per un periodo massimo di 18 mesi.

Nella stragrande maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso, costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita privata. Sindaci, consiglieri e funzionari finiti nel tritacarne della gogna mediatica per anni e anni, magari poi erano pure innocenti, Con il sì avremmo cancellato l’automatismo: avremmo restituito ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici. Invece un’altra sconfitta: si deciderà in automatico, senza valutare caso per caso. E a nulla sono serviti i “martiri” che abbiamo conosciuto, Pietro Vignali sindaco di Parma, Simone Uggetti primo cittadino a Lodi, Silvio Berlusconi Senatore.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.