La guerra Russia-Ucraina
“Adesione Svezia e Finlandia alla Nato segnano il fallimento di Putin”, parla l’ambasciatore Giancarlo Aragona
Il rischio di una “cronicizzazione” della guerra. Il rapporto Usa-Europa e il segno di una Nato allargata. Il Riformista ne discute con l’Ambasciatore Giancarlo Aragona. Consigliere diplomatico del Ministro della Difesa (1992-1994), capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri (1994-1996), Segretario generale Osce (1996-1999); Ambasciatore a Mosca (1999-2001); Direttore Generale per gli affari politici multilaterali e i diritti umani (2001- 2004); Ambasciatore a Londra (2004-2008). È stato anche presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale (Ispi).
Ambasciatore Aragona, la guerra in Ucraina sta raggiungendo i 100 giorni. C’è il rischio di una “cronicizzazione” del conflitto o, come da più parti si sostiene, il trascinare la guerra è l’obiettivo di chi punta alla sconfitta della Russia?
Certamente esiste il rischio che l’aggressione russa all’Ucraina si trasformi in un conflitto congelato, aggiungendosi ad altri casi simili nell’Europa post Sovietica, ma infinitamente più pericoloso e gravido di conseguenze sul piano politico, strategico ed economico. Un’area di instabilità di lungo termine nel cuore del continente, in un paese del peso economico e geopolitico dell’Ucraina, sarebbe una prospettiva molto inquietante che bisogna cercare di scongiurare. In una situazione di questo genere, la Russia, avendo mancato i suoi obiettivi di guerra iniziali e incontrando serie difficoltà a conseguire anche risultati più limitati, congelando, o cronicizzando il conflitto, confinerebbe l’Ucraina ad uno stato di instabilità duratura e manterrebbe il controllo di quelle parti di territorio in cui riuscisse a consolidare la sua presa. Nessun Paese occidentale, a prescindere dalle diverse sensibilità riguardo alle possibili modalità della conclusione di questa guerra, trarrebbe vantaggi da uno sbocco di questo tipo.
”L’Ucraina deve cedere territori alla Russia”. A sostenerlo è uno che di guerra e diplomazia se ne intende: l’ex Segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Lei che ne pensa?
Occorre assolutamente escludere il termine “deve” che non so se Kissinger abbia usato. L’Ucraina non deve subire pressioni, certo non dai paesi occidentali che ne stanno sostenendo la straordinaria resistenza. Deve essere assolutamente libera di decidere le condizioni di un accordo. È chiaro che la conclusione della guerra sarà influenzata dal corso delle operazioni militari e dall’effetto delle sanzioni sui calcoli strategici di Mosca. Kissinger, un gigante della teoria e della pratica della diplomazia, ha sempre guardato alle crisi con uno sguardo complessivo, cioè strategico. Ed è in questo spirito che, presumo, si sia espresso a Davos. Nell’ordine internazionale di stampo realista caro a Kissinger, un modello peraltro respinto dalle dottrine di politica estera universaliste e valoriali prevalenti ormai negli Usa, sarebbe concepibile che, a vantaggio della stabilità complessiva dell’Europa, Kiev, neutrale ma ancorata, ai fini della sua sovranità e del suo sviluppo economico e sociale, alle Istituzioni europee, e altresì forte del supporto degli Usa, possa indursi a contemplare, in forme da determinare, qualche sacrificio del suo territorio più legato alla lingua e alle tradizioni russe. Ma siamo nel campo delle speculazioni teoriche. Premessa di uno sbocco del genere è che non possa essere strumentalizzato come una vittoria di Mosca. Coerentemente con questo principio, ogni riflessione sui futuri assetti di sicurezza del continente europeo non potrà trascurare la violenta rottura prodotta dalla Russia con l’inopinata invasione della Ucraina. A parte il tempo necessario a rimarginare le ferite, che sarà lungo, i parametri e i modelli delle dinamiche diplomatiche nel nostro Continente saranno diversi da quelli del passato.
Sanzioni alla Russia e armi all’Ucraina. Bastano per affermare che l’Unione Europea ha una sua politica, una strategia sul fronte russo-ucraino?
Come sempre nelle vicende che accompagnano l’Unione europea, i giudizi dipendono dalle prospettive e dagli obiettivi degli osservatori. Ricordiamo anzitutto che l’Ue, in materia di politica estera e di sicurezza, opera ancora col metodo intergovernativo, che deve fare i conti con la ricerca del consenso. In materia di assistenza, anche militare, all’Ucraina, ritengo che l’Unione stia dimostrando coesione e impegno apprezzabili. È innegabile che, da sempre, la percezione della minaccia russa ed il modo di relazionarsi con Mosca, trovino gli Europei su posizioni differenti. Ma, è indiscutibile che l’aggressione russa abbia avvicinato, almeno per ora, i punti di vista geopolitici, rafforzando la coesione dei 27, oltre che quella transatlantica nella Nato. Risultati opposti a quelli sperati dal Cremlino. Sulle sanzioni, materia che investe importanti interessi nazionali non sempre convergenti, sinora l’Ue si è mossa con determinazione ed efficienza. Scontri e polemiche sono esplosi allorché si è preso a discutere di sanzionare il settore energetico russo. Dopo avere nei fatti accantonato le proposte di colpire le forniture di gas, le divisioni e le polemiche si sono focalizzate sul petrolio, anche per il ruolo del Primo Ministro ungherese, Orban. Le sanzioni possono far male anche a chi le applica, e in diverso grado. È naturale che i nostri governi, che rispondono ai parlamenti ed agli elettori, affrontino questi negoziati con un occhio molto attento ai rispettivi interessi nazionali. L’esperienza insegna che, magari dopo processi tortuosi e sovente al ribasso, compromessi vengono trovati. Infatti, sia pure tra ritardi e debolezze, il Vertice Europeo è riuscito a mettere insieme un’intesa sul petrolio russo. Direi, quindi, che, a dispetto delle difficoltà, l’aggressione russa abbia fatto segnare chiari passi avanti nella consapevolezza dei 27 che non è procrastinabile dotare l’Unione di procedure e strumenti più credibili e rapidi di proiezione esterna. Ma, a mio avviso, potremo parlare di politica estera e, a cascata, di difesa comuni, solo quando verrà abbandonata, o drasticamente circoscritta, l’unanimità ed i poteri decisionali e di iniziativa saranno concentrati in una autorità comune. Purtroppo, questo difficilmente avverrà in tempi brevi. Con poche eccezioni, i membri dell’Unione hanno rinunciato alle loro monete nazionali, ma sembrano riluttanti ad accettare meccanismi che condizionino il loro pieno potere nelle decisioni attinenti agli interessi di sicurezza, sia questa strategica o economica. In più, va tenuto conto che, nei membri più piccoli della Ue, l’unanimità viene vista come garanzia di non essere sacrificati agli obiettivi ed alle intese dei partners maggiori. Possiamo solo sperare che lo sconvolgimento dell’Ordine europeo provocato dall’invasione russa all’Ucraina rappresenti un punto di svolta anche in questo delicato ma cruciale settore.
Svezia e Finlandia hanno chiesto ufficialmente di entrare nella Nato. La premier finlandese ha affermato che si tratta di “un atto di pace”. Di pace o di paura?
La richiesta di Svezia e Finlandia, due potenze militarmente significative, di aderire alla Nato rappresenta la più clamorosa prova del fallimento della politica russa. Il Cremlino, con la sua aggressione all’Ucraina, si confronterà con una Alleanza Atlantica rivitalizzata, allargata e rinsaldata nel legame euro-americano. È naturale che, con una guerra di aggressione in corso a ridosso del limes coperto dall’articolo 5 del Trattato, la Nato assuma un ruolo preponderante di deterrenza a protezione dei suoi membri. Ruolo che, realisticamente, l’Unione europea non è in grado di svolgere, almeno in questa fase storica. Guardando agli interessi nazionali italiani, è necessario continuare ad attenersi al principio tradizionale della nostra politica estera secondo cui il rafforzamento, ineludibile, delle capacità militari, operative ed in risorse, della Ue, non deve in alcun modo andare a detrimento dell’Alleanza Atlantica. La complementarietà tra le dimensioni atlantica ed europea è oggi più importante che mai.
Repubblica ha anticipato un “piano di pace” italiano del quale né Mosca né Kiev non hanno ricevuto copia. Chiedo a lei che ha una esperienza di vita in diplomazia: un’azione diplomatica seria ed efficace, può fondarsi su queste, per usare un eufemismo, fragili basi?
Da quanto ho letto, ho l’impressione che l’elaborato della Farnesina intendesse sottoporre delle idee su un percorso di contatti e dialogo che mobilitasse Istituzioni internazionali multilaterali. Nulla di nuovo in questo perché l’Italia ha sempre privilegiato il multilateralismo come metodo di conduzione dei rapporti internazionali, consapevole che motivi storici, e talune fragilità del consenso politico interno, rendono complicato esporsi con iniziative puramente nazionali. Documenti di riflessione di questo genere, con diverso crisma di ufficialità, vengono normalmente scambiati sui canali diplomatici come base di discussione, informale o formale. Su come poi il documento sia stato comunicato e gestito, come molti, non ho elementi per esprimermi compiutamente. Talune reazioni possono far pensare che vi sia stata qualche sbavatura. Può accadere ed è auspicabile che al riguardo non si alimentino polemiche politiche o giornalistiche.
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