L'intervento
Affaire Fontana, ci sono ombre ma basta processi alle intenzioni
Nella mia gerarchia di disvalori la Lega di Matteo Salvini (l’uso del genitivo ha un significato) occupa il penultimo posto, seguita, all’ultimo, dalle Procure. Sono pertanto indotto a credere ad Attilio Fontana e alla sua linea difensiva in Consiglio regionale. Certo i passaggi oscuri sono tanti: l’ordine dei camici alla ditta del cognato che diventa una donazione quando qualcuno fa trapelare la notizia; la relativa documentazione che non va oltre ad una fattura di 500mila euro; la fornitura del prodotto che viene interrotta; il bonifico dal conto svizzero del Presidente per una somma ragguardevole al cognato, non si capisce a quale titolo. Visto però che mi è capitato, da deputato, di votare una risoluzione in cui stava scritto che Silvio Berlusconi era convinto che Ruby Rubacuori fosse davvero la nipote di Mubarak, non ho difficoltà a considerare, quello di Fontana, un “ravvedimento operoso”. Durante l’emergenza del virus maligno – messo alle strette dall’urgenza di fornire presidi sanitari agli operatori – Fontana si è ricordato dell’attività del cognato e gli ha chiesto soccorso.
Mentre il titolare era assente l’amministrazione ha creduto che si trattasse di una normale commessa ed ha emesso fattura (di solito è un’operazione che si esegue dopo la consegna della merce; cosa che tuttora latita). Fontana è intervenuto in tempo a sistemare la faccenda: la Regione non ha sborsato un solo euro. Basta, allora, con i processi alle intenzioni, con il tiro al bersaglio contro i governatori della Lombardia. Avete ottenuto la testa del “celeste” Roberto Formigoni; ci avete provato – e vi è andata male – con Roberto Maroni. Lasciate stare il povero Fontana che ha già non pochi guai con la procura di Bergamo, intenzionata a giudicare la gestione della crisi sanitaria sulla base del “senno di poi”. Certo che le Parche dell’antipolitica non hanno dei comportamenti lineari. Si potrebbero confrontare le vicende di ministri indotti a dimettersi per un regalo di un amico imprenditore in occasione della laurea del figlio o per una telefonata fatta al proprio compagno lamentandosi di essere trattata come una colf (perché poi?) guatemalteca. In fondo, costoro se la sono cavata con le dimissioni. Ad un amministratore delle Fs è toccata una pesante condanna penale perché, mentre dormiva a notte fonda nel proprio letto, un carro ferroviario proveniente dalla Polonia è esploso in una stazione a centinaia di km di distanza provocando una strage.
Per non parlare di Silvio Berlusconi, unico azionista condannato per la medesima accusa di evasione fiscale dalla quale erano stati assolti gli amministratori della società. Nel caso di Attilio Fontana non è tutto pacifico. A parte la vicenda dei camici è emerso anche un conto in Svizzera a lui intestato, per il quale, a suo tempo, chiese lo “scudo fiscale” per i capitali all’estero – un provvedimento scaturito dalla testa di Giulio Tremonti come Athena dalla testa di Zeus – con riguardo ad una somma di un certo rilievo. Vogliamo concludere che quanto è conforme alla legge non ha bisogno di impaludarsi di canoni etici? È una considerazione questa che finirebbe per derubricare tanti comportamenti che hanno procurato la gogna a chi li aveva incautamente compiuti. Anni addietro una festa in maschera di giovanotti di Forza Italia, a Roma, si guadagnò la disapprovazione dei più importanti quotidiani, mentre un consigliere regionale della Regione Emilia Romagna venne sottoposto al dileggio perché si era fatto rimborsare dopo una trasferta lo scontrino della toilette.
E un presidente leghista della Regione Piemonte dovette dimostrare che quel paio di mutande verdi salite all’onore dei media le aveva pagate di tasca propria. Attilio Fontana, però, non ha nulla da rimproverarsi. Lui è un leghista della prima ora, di quelli che ambivano trasferire la Lombardia in Europa e che ammiravano, di là dal confine, la Svizzera. La loro mission originaria era la scissione per entrare a far parte del novero delle ‘’nazioni civili’’, mollando il centro-sud al suo destino. Per provocare Umberto Bossi, durante una manifestazione del Carroccio, bastava esporre una bandiera tricolore ad un balcone prospiciente: quello stesso insieme di colori che Salvini indossa non solo sulla mascherina ma anche nel sospensorio.
Al Capitano non interessa l’ultima raffica del federalismo rinominato “autonomia differenziata”. Un giorno ci chiederemo come è riuscito Matteo Salvini a cambiare la natura della Lega, in pochi anni, attraverso una vera e propria mutazione genetica trasformandola in un partito sovranista, che pretende di rappresentare “60 milioni di italiani” (annettendo a sua insaputa – non avendo confidenza con i numeri – anche i residenti stranieri). Con questa operazione ha triplicato i voti di un partito che era in via di estinzione. Ma neppure Salvini può far crescere un albero privo di radici. Non è un caso che la concorrente più pericolosa per il leader della Lega “snaturata” sta diventando Giorgia Meloni. Salvini ha risvegliato dal letargo una destra reazionaria con un messaggio populista e sciovinista. Ma i frutti continuerà, sempre più, a raccoglierli Fratelli d’Italia che rappresenta la continuità e può vantare un album di famiglia più coerente. Alla lunga, anche i reazionari non sanno che farsene dei cialtroni.
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