Nei giorni scorsi, ha destato un certo scalpore la sonora sconfitta in Mali, nella località di Tinzawatene, presso il confine con l’Algeria, delle truppe della Giunta militare golpista, sostenute dai mercenari russi, ad opera delle formazioni guerrigliere dei tuareg. La sorpresa principale è la disfatta dei russi in terre saheliane; fra essi si conterebbero diverse decine di caduti in combattimento, e numerosi prigionieri. Il Mali è uno dei Paesi del Sahel; come il Niger ed il Burkina Faso, è guidato da alcuni anni da un Governo provvisorio nato da un colpo di Stato militare. I tre Stati golpisti sono associati dal settembre del 2023 nella Alliance des Etats du Sahel; essi hanno optato da tempo per una forte collaborazione militare con la Russia, accompagnata da una rottura dei rapporti tradizionali con la Francia, con l’Occidente in genere, e con la Comunità dei Paesi dell’Africa Occidentale denominata ECOWAS.
Nei tre Stati, il fondamento dell’ascesa dei militari al potere con un “golpe”, sostenuto all’ inizio anche dalle rispettive popolazioni, era che i Generali sono più efficaci dei Governi costituzionali sia nella lotta contro il terrorismo jihadista; sia nel recupero del controllo del territorio statale; sia per la rinascita economica dei loro Paesi. Finora non è andata così, e le stesse popolazioni saheliane se ne stanno rendendo conto. Secondo il Global Terrorism Index 2024, il Sahel è divenuto l’epicentro mondiale del terrorismo, e gli episodi più gravi sono avvenuti nel 2023 proprio in Burkina Faso (al primo posto in classifica); in Mali (terzo posto), e Niger (decimo posto). Il peggioramento della situazione si è riscontrato proprio coi militari al potere a Ouagadougou, Bamako e Niamey. A poco è valsa finora la cooperazione militare russa, pagata peraltro a caro prezzo dalle Giunte militari saheliane, con la cessione di diritti di sfruttamento delle miniere locali; cioè un tipo di collaborazione dal sapore fortemente neo-coloniale, che rappresenta una delle più visibili contraddizioni dei nuovi leader africani in uniforme.
D’altronde, tranne che nella mente dei golpisti, non è chiaro perché mai poche centinaia di mercenari russi dovrebbero riuscire in un compito in cui non sono bastati circa 5000 militari francesi dell’operazione Barkhane, insieme agli oltre 5000 della forza di pace ONU MINUSMA, entrambe smobilitate per volere dei Governi golpisti. Non migliore si presenta il quadro dei diritti umani nei tre Paesi dall’avvento dei militari. Human Right Watch e Amnesty International lamentano una caduta libera dei principali diritti umani in ognuno di essi, con una particolare preoccupazione per il Niger, dove nelle settimane scorse è stata revocata ogni immunità all’ex Presidente costituzionale Bazoum, il quale rischia ora la pena capitale per Alto Tradimento. HRW ed Amnesty evidenziano altresì il pugno di ferro governativo contro le opposizioni, la stampa, e le manifestazioni popolari (tranne quelle artificiose per sostenere le Giunte).
In Niger, oltre a Bazoum, sono state arrestate arbitrariamente e senza processo, e detenute in carceri di massima sicurezza, anche 30 personalità vicine all’ex Capo di Stato, per “avere attentato alla sicurezza del Paese”. Di arresti arbitrari sono anche vittima diversi giornalisti, attivisti per i diritti umani, avvocati etc. Non essendoci più i tipici corpi intermedi di uno Stato di diritto, né la separazione dei poteri, nei tre Stati golpisti risultano flebili o inesistenti i meccanismi di controllo e garanzia, quelli per la trasparenza amministrativa e sulle responsabilità degli atti compiuti dalle alte cariche. In Mali, secondo i rapporti di HRW, oltre alle minacce del terrorismo jihadista e dei tuareg, che hanno causato circa 500 mila sfollati interni, oltre 200 mila rifugiati negli Stati vicini, ed un numero molto elevato ma imprecisato di vittime, si riscontrano brutalità ad opera anche dei militari governativi e dei mercenari russi in danno delle popolazioni; bombardamenti indiscriminati; distruzione di villaggi; sottrazione violenta dei terreni coltivati e del bestiame; intimidazioni etc.
In Burkina Faso, secondo un reportage del New York Times del 26 luglio scorso, la lotta senza quartiere al terrorismo da parte del Capitano Traorè, il giovane leader militare alla guida del Governo, sta spaccando a metà il Paese, con una serie di bande armate senza controllo e senza limiti; se non si cade vittima del terrorismo- scrive il quotidiano- si rischia di morire per il fanatismo e gli eccessi delle brigate filo-governative, reclutate distribuendo armi alla popolazione civile, senza addestramento specifico. Nei Paesi golpisti esiste la possibilità che, con il pretesto della lotta ai terroristi, si attuino rappresaglie inter-etniche, fra Fulani, Dogon, Mossi, Bambara, Tuareg ed altre comunità, in atavica contrapposizione. Mentre in Europa ed in Italia si parla diffusamente del pericolo terrorista nel Sahel, e dei traffici illeciti di esseri umani, l’attenzione è minore per la situazione dei diritti umani “in caduta libera”, specie negli Stati guidati da Giunte militari. Eppure il ruolo dell’Europa e dell’Occidente in Africa non dovrebbe prescindere dalla salvaguardia dei diritti di base, e dei principi del buon Governo, che sono ancora i valori fondativi dell’Ue, e delle nostre Costituzioni.