Verso il 25 settembre
“Agenda Draghi un alibi per coprire il vuoto, senza il premier è come Nutella senza nocciole”, parla Cesare Damiano

Cesare Damiano, una storia nel sindacato e nella sinistra. Già ministro del Lavoro e della previdenza sociale nel governo Prodi (Il suo nome è legato all’attuazione della riforma del Tfr), parlamentare per più legislature, membro della Direzione nazionale del Pd, Damiano è anche presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare. Con lui proviamo a discutere di contenuti e non di posti (parlamentari). Affrontando di petto la grande questione dimenticata a sinistra: la questione sociale. Con una sottolineatura non da poco: «L’ex Agenda Draghi non può essere l’orizzonte entro il quale il Pd si rinchiude: può essere un propulsore, un punto di partenza, perché il Pnrr non deve essere abbandonato e va assolutamente attuato, ma bisogna andare oltre».
Calenda rivendica a sé l’”Agenda Draghi”. Lo stesso fa Letta. Come la mettiamo? E poi, ma cos’è, se esiste, quest’Agenda?
L’ “Agenda Draghi” senza Draghi non esiste. È solo la comoda appropriazione di un copyright da parte di chi non ha la capacità di elaborare un proprio programma. Il Pd, invece, ha un programma e lo ha già presentato. Quanto a Calenda, quell’Agenda senza Draghi è come la Nutella senza le nocciole. La differenza l’ha fatta la credibilità di SuperMario e la sua rete di relazioni in campo internazionale. Si tratta di un valore aggiunto non riproducibile né trasferibile. L’ “Agenda Calenda” non interessa a nessuno, se non a Calenda. Restano gli obiettivi del Pnrr che vanno spogliati del solo aspetto quantitativo e arricchiti di un addendum qualitativo-sociale. Quello dell’ultimo Draghi che aveva dato ascolto, nel confronto con sindacati e imprese, ai nove punti “sociali” di Conte che, incredibilmente, lo ha fatto cadere proprio quando Draghi cominciava a dargli retta. L’ex Agenda Draghi non può essere l’orizzonte entro il quale il Pd si rinchiude: può essere un propulsore, un punto di partenza, perché il Pnrr non deve essere abbandonato e va assolutamente attuato, ma bisogna andare oltre.
Che cosa intende di preciso?
Bisogna riscoprire e rafforzare l’anima socialista o socialdemocratica o laburista, scegliamo il termine più appropriato, di un partito che vuole essere il perno di un centrosinistra rinnovato e che vede, al momento, gli operai scegliere come primo partito Fratelli d’Italia e voltare le spalle al Pd, che diventa solo la quarta scelta. Questo è anche il lascito del renzismo: rendere più liberi e meno costosi i licenziamenti illegittimi con il Jobs Act, e la Consulta da tempo chiede alla politica di correggere questa legge sbagliata, ha fatto percepire ai lavoratori un Pd contro di loro, poco attento ai temi sociali. Aumentare la precarietà del mercato del lavoro e andare a braccetto con i vincitori, come il padrone di Amazon, e dimenticare o disprezzare chi non ce la fa, ci ha trasformati nel partito delle élite. Questa è l’eredità di Renzi: per questo non sono mai salito su quel carro. Ma la coerenza, purtroppo, è diventata un disvalore, anche a sinistra. Adesso abbiamo il nostro programma: iniziando dai suoi contenuti autenticamente popolari, a partire da quelli dedicati al lavoro e allo Stato sociale, possiamo sconfiggere il populismo.
Nel centrosinistra sembra essere bandito il “gioco di squadra”. Oltre la politica ci vuole la psicanalisi?
Sul lettino di Freud ci starebbero bene in molti, a partire da me, che non ho mai negato di avere la mia quota di responsabilità. È dalla fine degli anni 70 che la sinistra, nel mondo, ha cominciato a smarrirsi. Una delle frasi più famose della Thatcher, “la società non esiste, esiste l’individuo”, ci ha portati per mano nella giungla: e lì siamo rimasti. Il liberismo ha sostituito alla persona il mercato e noi ci siamo accontentati, nel migliore dei casi, di ridurre il danno e, vista la mala parata, ci siamo inventati una improponibile terza via che il suo stesso ideatore, Blair, ha rinnegato. Abbiamo sposato acriticamente la globalizzazione e non abbiamo costruito una proposta valoriale alternativa al liberismo. Abbiamo avuto paura di pronunciare nuovamente la parola “ideologia”, scambiandola per un impianto dogmatico, chiuso e inossidabile, anziché percepirla come un contenitore di valori. Adesso è giunto il momento di riscrivere l’orizzonte perduto parlando al cuore e al cervello del nostro popolo, quello che si è rifugiato in parte nell’astensionismo della disillusione o nel populismo dalle promesse impossibili. Solo in questo modo possiamo superare l’idea di una società fondata sull’ egoismo individuale per approdare a una fondata su un nuovo spirito comunitario.
Il lavoro, questo sconosciuto. Eppure l’Italia è marchiata pesantemente da una esplosiva “questione sociale”. Il Pd viene percepito come il partito dei “garantiti”. Il “partito Ztl”. E gli operai, i giovani dei call center, l’universo del lavoro sommerso? Tutti a destra o nell’astensione?
Come ho detto poc’anzi abbiamo scritto il nostro programma. Dobbiamo esaltarne gli aspetti “popolari”, recuperare un vasto elettorato di sinistra che non si è più riconosciuto nelle politiche del Pd. Allora parliamo di lavoro e di Stato sociale e proviamo ad arricchire e valorizzare il programma: bisogna puntare sulle assunzioni a tempo indeterminato che sono la nostra stella polare facendo in modo che il lavoro stabile costi di meno di quello flessibile. Basta, poi, con l’osanna renziano alla flexicurity, un imbroglio fallimentare che ha prodotto precarietà, soprattutto per i giovani, senza dare sicurezza. La mia proposta è di passare alla logica della flex stability incentivata: stabilità nell’assunzione, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, accanto a una flessibilità della mansione. Banca delle ore, variabilità di turni e orari, reperibilità, lavoro agile, stagionalità. Un altro punto del programma Pd è quello che prevede la diminuzione delle tasse sulle buste paga. A mio avviso l’abbattimento del cuneo fiscale deve essere solo a vantaggio dei lavoratori. Se andasse anche alle imprese, come dice il centrodestra, faremmo lo sconto anche a chi fa gli extra profitti. Assurdo. Per le imprese colpite dalla crisi vanno previsti sostegni mirati. Occorre mettere fine anche al lavoro non pagato attraverso la piena attuazione dell’equo compenso per i professionisti. Il salario minimo di legge, che va introdotto in modo differenziato per ogni categoria merceologica prendendo a riferimento il Trattamento Economico Complessivo dei migliori contratti rappresentativi, non risolve tuttavia, da solo, il problema dei bassi salari che va affrontato con la contrattazione e con il cuneo fiscale. Aiuta però a sconfiggere i contratti pirata.
Altra riforma urgente: quella sulle pensioni. Ogni partito ha la sua ricetta. Secondo lei cosa bisognerebbe fare?
Occorre superare la legge Monti-Fornero. Va bene prevedere una flessibilità in uscita dai 63 anni, non solo per i lavori usuranti o gravosi, prevedendo una leggera penalizzazione per ogni anno prima dei 67 anni di età, da calcolare solo sulla parte retributiva. Va poi abbassata a 41 anni di contributi l’uscita dal lavoro per i cosiddetti “precoci”. Ma non basta: vanno resi strutturali sia l’Ape sociale che Opzione Donna e vanno valorizzati i contributi delle figure più fragili: donne e giovani, considerando i periodi di maternità e di formazione. Un segnale chiaro va dato a chi percepisce pensioni troppo basse: vanno rivalutate le pensioni fino a 1.500 euro lordi mensili, estendendo fino a quel limite la quattordicesima mensilità e tenendo conto dei contributi versati. Il centrodestra non è chiaro: rivalutare le pensioni solo fino a 1.000 euro, a prescindere dai contributi, esclude quelle degli operai e incentiva il lavoro nero. E poi, posso aggiungere? Basta con l’inganno sulla flat tax. La Costituzione prevede un principio di progressività, non di proporzionalità. Un imprenditore ha una aliquota al 43%, un suo dipendente al 23. Portarla al 23% per tutti, come dice Berlusconi, fa guadagnare 20 punti al primo e niente al secondo: non so se è solo una ingiustizia o anche una bufala.
Dai contenuti alle “poltrone”. Le candidature lasciano morti e feriti, non ci sono alternative?
Renzi fa la morale a Letta: l’accusa, infondata, è il rancore. Dimentica quello che ha fatto nel 2018. Lui e la Boschi hanno cancellato con un tratto di penna alcuni dirigenti solo perché di sinistra: il sottoscritto, Cuperlo e Martella, e quasi tutti i componenti Pd della commissione Lavoro alla Camera da me presieduta, rei di aver sostenuto Orlando e di non essere mai saliti sul carro del vincitore e di aver contestato le scelte peggiori, a partire dai licenziamenti più facili e meno costosi del Jobs Act e delle tutele crescenti, giudicate incostituzionali dalla Consulta. Mi auguro che il Pd promuova una iniziativa di legge per la reintegra nel posto di lavoro nel caso di licenziamenti illegittimi. In estrema sintesi: sono stato fuori dal Parlamento in questa legislatura e non ho chiesto di ricandidarmi. La battaglia per il lavoro e per lo Stato Sociale la continuerò come sempre. E poi, il taglio dei parlamentari è stato approvato anche da chi oggi si lamenta di essere stato escluso.
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LA PRECISAZIONE
Caro direttore,
oggi il tuo giornale pubblica una mia intervista usando come titolo un’affermazione che non ho mai fatto: “Pd senza idee. L’agenda Draghi è un alibi per coprire il vuoto”. Questa frase non l’ho mai pronunciata ed è l’esatto contrario di ciò che invece ho detto nell’intervista e che viene, peraltro, testualmente riportato: “il PD, invece, ha un programma e lo ha già presentato”. Mi pare un’affermazione chiara che non lascia spazio ad equivoci. È evidente che la mancanza di idee era da me attribuita non al Partito Democratico, ma a quelle forze politiche, come quella di Calenda, che non avevano ancora definito un programma e che usano l’agenda Draghi come specchietto per le allodole.
CESARE DAMIANO
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