Ricerca e innovazione in agricoltura? No grazie. È un po’ questa la tendenza che si avverte presso una parte del mondo politico e dell’opinione pubblica in Europa. La sensazione nasce dal mettere insieme due eventi apparentemente lontani. Da una parte, la recente vandalizzazione di un campo sperimentale di riso, sviluppato con le Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea), presso un’azienda agricola nella provincia di Pavia. Dall’altra, l’ennesimo stralcio, in Consiglio europeo, della proposta per risolvere lo stallo sulla legislazione delle Nuove Tecniche Genomiche (Ngt).

Stiamo parlando di progetti sofisticati, finalizzati a rispondere alla duplice esigenza di sostenibilità ambientale e sicurezza alimentare. In un’Europa che stenta a tenere la posizione di potenza agricola mondiale, l’unica strada percorribile è l’efficientamento della produzione interna. Come? Il programma Horizon Europe ha un budget complessivo di circa 95,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Di questi, una parte considerevole è destinata proprio alla ricerca e all’innovazione nel settore agroalimentare. Una popolazione di 450 milioni di bocche non si sfama senza impattare sull’ambiente e tanto meno chiudendo le frontiere alle importazioni extra-Ue. Il cittadino europeo è un esigente consumatore di prodotti che richiedono un complesso processo industriale e il ricorso a materie prime spesso qui non disponibili. Si pensi al caffè e al cacao. Oppure al riso e al grano, che pur coltivabili a casa nostra, non bastano per sfamarci tutti.

Per quanto riguarda il riso infatti, alla domanda complessiva di 3,8 milioni di tonnellate, la produzione europea risponde con solo 1,8 milioni di tonnellate. Il resto è necessariamente importato. Sul grano saremmo più autosufficienti: 110 milioni di tonnellate richieste, contro i 130 milioni prodotti. Tant’è che l’Europa esporta prodotti a base di farina di grano. Tuttavia, ne importiamo 9 milioni di tonnellate, costituite da specifiche varietà non coltivate in Europa o destinate a particolari utilizzi industriali. Da tutto questo, ne è conseguito un combinato disposto, fatto di alti costi di produzione in Europa, bassi prezzi di prodotti importati e inflazione sui tutti generi alimentari, che sta danneggiando per primo il consumatore. Ora, sapendo che molto del riso e del grano non europei seguono standard produttivi più laschi rispetto a quelli imposti ai nostri coltivatori, è necessario puntare sulla maggiore resa dei raccolti in casa. Escluso il ricorso a Ogm, glifosati e pesticidi, che, per valide ragioni ambientali e di salute, sono vietati dalla normativa Ue, bisogna trovare delle alternative. Ngt e Tea sono entrambi metodi di selezione genetica delle colture per renderle più sostenibili e resistenti.

D’altra patre – ahimè, la questione è dannatamente più complessa – la regolamentazione Ue applica il medesimo rigore agli Ogm e alle nuove tecniche genetiche. Da qui, la proposta della Commissione di allentare queste restrizioni su queste ultime, proprio per incentivarne la ricerca, efficientarne le colture e rendere così l’agrifood europeo più autonomo. All’insegna di un approccio conservatore e di difesa della propria agricoltura tradizionale, Polonia e Ungheria si sono opposte. Manco a dirlo, da qui a sei mesi, con la presidenza di turno dell’Ue in mano a Budapest, sarà difficile uscire dalle secche. Nel frattempo si è avuto il caso del boicottaggio del riso Tea nel pavese. Un episodio isolato, si potrebbe pensare. Tuttavia, se a vedere pochi agent provocateur che imbrattano Palazzo Vecchio vien da dire «so’ ragazzi», un attacco alla scienza – che va di pari passo con l’ostruzionismo della politica – fa davvero paura. Quando la posta in gioco è il nostro futuro alimentare e la nostra indipendenza economica, l’oscurantismo è un lusso medievale che l’Europa non può permettersi.

Antonio Picasso

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