Devo dire che, come sempre, il Partito Democratico coglie il punto dell’attualità. La dichiarazione di Dario Franceschini sulla questione dei doppi cognomi dimostra ancora una volta la capacità del PD di stare sul pezzo dell’agenda del popolo, individuando temi che possono generare dibattito e attenzione mediatica.

La proposta di Franceschini

Franceschini propone di assegnare automaticamente ai figli solo il cognome materno, in nome di un risarcimento per l’ingiustizia storica subita dalle donne. La mossa, di per sé, ha il sapore dell’ennesimo colpo di teatro, una proposta che punta più a creare una contrapposizione ideologica che a risolvere un problema concreto. Perché il punto è proprio questo: oggi c’è già la possibilità di dare entrambi i cognomi, esiste un’ampia libertà di scelta per le famiglie. Non c’è alcun risarcimento da fare. Non si può pensare di correggere la storia con un meccanismo che rischia di generare altre distorsioni.

Il dibattito che ne è scaturito è, per certi versi, surreale. Da un lato, gli uomini che paventano la propria cancellazione e, dall’altro, eventuali donne – sempre che ve ne siano davvero tante – che accolgono questa proposta come un atto di giustizia riparatrice. Ma la società non funziona con la logica dell’occhio per occhio, dente per dente. Non è togliendo qualcosa a qualcuno che si compensa un torto storico. La società sta insieme perché coesa, perché costruisce nuovi equilibri condivisi, non perché ripaga il passato con soluzioni che guardano indietro invece che avanti.
E proprio qui sta l’errore di fondo: pensare che la parità di genere si raggiunga con misure simboliche piuttosto che con azioni concrete. Si può davvero credere che imporre il cognome materno ai figli cambi la condizione delle donne in Italia? O che migliori le loro prospettive di carriera, le possibilità di conciliazione tra lavoro e famiglia, il loro peso nella società? La risposta è ovviamente no.

Le battaglie reali

Se il PD e chi sostiene questa proposta vogliono davvero fare qualcosa di utile, dovrebbero concentrarsi su battaglie che abbiano un impatto vagamente reale. Per esempio, perché non parlare di politiche di welfare più forti per aiutare le madri lavoratrici, tipo la promozione di asili nido aziendali? Perché non impegnarsi per una riforma fiscale che riduca il carico sui nuclei familiari? O ancora, perché non affrontare il problema dei contratti precari che penalizzano le donne, specialmente in età fertile?
Se si vuole affrontare davvero la questione della parità di genere, servono politiche per la parità salariale, per il sostegno alla genitorialità, per garantire alle donne le stesse opportunità di carriera. Il resto è solo rumore di fondo.

Ritornare sul pianeta Terra

E mentre si discute di cognomi, ci si dimentica di tutto il resto. Si dimentica che in Italia il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi d’Europa. Si dimentica che le donne spesso si trovano costrette a scegliere tra maternità e lavoro. Si dimentica che la rappresentanza femminile nei ruoli di potere, nonostante le quote rosa, è ancora ben lontana dalla parità.
Forse sarebbe il caso di riportare il dibattito sul pianeta Terra: le donne non hanno bisogno di un risarcimento simbolico, ma di strumenti concreti per essere davvero libere di scegliere il proprio destino e ricercare la propria felicità, come gli uomini, da sole o insieme a loro.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna