Gli animi ormai sono esasperati: giovedì infatti si riunirà a Bruxelles il consiglio europeo, con una impegnativa agenda che va dall’adesione di Ucraina e Moldavia al bilancio europeo da cui dipendono il mantenimento degli aiuti a Kyev. Più si avvicina la data, più si alzano i toni per una riunione che a molti sembra decisiva per il futuro spesso dell’Unione Europea, tanto più che le minacce di Viktor Orban di mettere il veto ungherese sulle decisioni del consiglio ieri sono state acuite dall’adesione alla posizione di Budapest del cancelliere austriaco.
In ballo, tra i molti punti all’ordine del giorno, ci sono l’avvio dei negoziati di adesione con l’Ucraina e soprattutto 66 miliardi di sostegno pluriennale a Kiev senza i quali la stabilità finanziaria del paese crollerebbe, tanto più che anche a Washington – dove il presidente Zelensky era ieri per colloqui con la leadership statunitense – Biden sta facendo fatica a far passare una misura simile.
Intanto, c’è attesa per la decisione della Commissione di sbloccare 10 miliardi di euro all’Ungheria di cui abbiamo parlato ieri: stiamo parlando di fondi che erano stati bloccati dall’UE nel 2018 per violazioni dello stato di diritto da parte di Budapest e che secondo molti commentatori potrebbero essere scongelati a fronte delle timide riforme fatte da Orban, in cambio di un suo ammorbidimento sull’Ucraina, con un do-ut-des un po’ tanto (troppo?) da “real politik”.
Politico.eu, il quotidiano online di Bruxelles sempre bene informato, dà per presa la decisione di sbloccare i fondi ma precisa anche che questa scelta potrebbe essere la pietra tombale della ricandidatura di Ursula Von der Leyen alla presidenza della commissione, tanto più che ieri Renew Europe ha richiamato la procedura prevista dall’articolo 7 dei trattati, quella che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione (come il diritto di voto in seno al Consiglio) qualora un paese violi gravemente e persistentemente i principi su cui si fonda l’UE. Renew Europe stessa, il gruppo politico che più di ogni altri e senza titubanze si è schierato sul fronte del rispetto – costi quel che costi – dello stato di diritto da parte di Budapest, è intervenuta ieri attraverso il suo presidente Stéphane Séjourné: “Siamo contrari all’erogazione di qualsiasi fondo europeo per l’Ungheria”.
Ed ancora: “L’Ucraina sta lottando per la sua stessa esistenza e l’UE deve mantenere la promessa di sostenerla politicamente, finanziariamente e militarmente. Se questo deve essere fatto da 26 Stati membri, così sia”. Ma anche sul fronte dei popolari, le parole non sono state meno taglienti: “Serve che l’Ue continui a sostenere l’Ucraina e bisogna lavorare per una soluzione comune. Se non sarà possibile andare avanti a 27 allora dovremo farlo a 26, ma il sostegno a Kiev non può fermarsi”, ha dichiarato ad esempio Manfred Weber, potente presidente del Partito Popolare Europeo.
Resta da capire se alzare i toni è solo tattica pre-consiglio o se davvero si arriverà ad una rottura: basta aspettare qualche giorno e lo sapremo.