Il caso
Al Csm dicevano: “Gratteri è pazzo”, ora processano Lupacchini

L’ex procuratore generale di Catanzaro ieri a Roma “processato” in sede disciplinare dal Csm, il procuratore capo due giorni fa a Lamezia incensato dalle telecamere al suo Maxi. Destini incrociati e opposti quelli di Otello Lupacchini, ex procuratore generale di Catanzaro, e Nicola Gratteri, attuale capo della procura della stessa città. Si erano annusati e subito respinti come due poli incompatibili. Ieri uno davanti a quella commissione disciplinare del Csm che ai suoi occhi non è nulla di meno che un plotone d’esecuzione, l’altro il giorno prima con la ruota del pavone e l’elicottero della polizia a proteggerlo dall’alto, a inaugurare l’aula-bunker dove si celebra il maxi-processo che dovrà renderlo famoso. Ancora di più, sempre di più.
Se c’è un destino ingiusto, è quello che sta vivendo il magistrato Otello Lupacchini, uomo colto e raffinato come pochi, procuratore equilibrato e lungimirante, che si ritrova a esser processato in sede disciplinare dal Csm, dopo esser entrato in conflitto con Nicola Gratteri, uno che accetta (con qualche ragione) di esser definito “ignorante”, ma che è molto attivo come “lottatore”. Come se quello di combattere i fenomeni sociali o criminali fosse compito di un pubblico ministero e non delle forze di polizia. Ma sono sottigliezze che non possono albergare nella vita super-impegnata del dottor Gratteri.
Ci sono varie questioni da chiarire, nelle vite incrociate dei due alti magistrati. Prima di tutto il Csm come istituzione è in debito nei confronti del dottor Lupacchini, perché negli anni scorsi quando nella veste di procuratore generale segnalava all’organo di autogoverno della magistratura, così come al ministro di giustizia e al procuratore generale della cassazione i comportamenti omissivi ed autoreferenziali del dottor Gratteri, faceva orecchi da mercante. E non si è mosso fino a che lo stesso procuratore capo di Catanzaro non ha inoltrato analoga e opposta protesta nei confronti del proprio superiore gerarchico. Come se fosse normale il fatto che all’interno di un distretto giudiziario si facessero blitz, si aprissero inchieste con centinaia di indagati, si scrivessero quindicimila pagine di accuse, si andasse in televisione a dichiarare che si sta smontando la Calabria come una costruzione Lego, senza mai informare il procuratore generale. Cioè la massima autorità degli uffici dell’accusa.
Ma come funzionava quel Consiglio superiore della magistratura degli anni scorsi? Ci si occupava solo ciascuno della propria e altrui carriera per gli avanzamenti o qualcuno sapeva anche valutare la differenza tra un magistrato che svolgeva con competenza il proprio lavoro e altri che usavano come metodo la pesca a strascico, salvo essere poi sconfessati dal tribunale del riesame piuttosto che dalla cassazione? Fatto sta che alla fine del 2019, dopo che aveva definito “evanescenze” certi blitz del procuratore Gratteri, il dottor Lupacchini subiva un trasferimento cautelare da Catanzaro a Torino, con degradazione da capo a semplice sostituto del procuratore generale.
E questo accadeva mentre lo stesso Luca Palamara, che aveva votato quel trasferimento, definiva Gratteri “un pazzo” da fermare. Ma questo lo si saprà solo dopo che saranno rese pubbliche tutte le chat, captate dal trojan, che l’ex capo del sindacato dei magistrati scambiava con i suoi amici e colleghi. I giornali e i siti calabresi si sono sbizzarriti a lungo su queste conversazioni nei mesi scorsi, quando tutte le conversazioni sono diventate pubbliche. Si riportano le dichiarazioni di Gratteri che sostiene di sapere che ci sono in Calabria almeno 400 magistrati corrotti. E Palamara che chiacchierava con il suo collega del Csm Massimo Forciniti e diceva: «Purtroppo è un matto vero… Però va fermato, non può continuare così». E quando parla con il procuratore capo di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, Palamara gli gira l’articolo con le dichiarazioni di Gratteri commentando: «Le solite cazzate, sta diventando patetico».
Questo era il quadro che aveva portato Otello Lupacchini come incolpato davanti al Csm e a quella prima commissione che lo ha spedito a mille chilometri di distanza a prendere ordini da qualcuno che era stato suo pari fino a poco prima. Se il procuratore Gratteri era considerato dagli stessi componenti del Csm come un pazzo che andava fermato, perché imputare al dottor Lupacchini il fatto di aver definito “evanescenti” delle inchieste che spesso venivano poi sconfessate (come accaduto di recente con il processo “Nemea”) in sede giudicante? Certo l’ex procuratore generale aveva anche ospitato sulla propria pagina Facebook un appello perché un altro suo collega calabrese, trasferito dal Csm, fosse reintegrato al suo ruolo precedente, e qualche membro del Csm si era “offeso”. Ma siamo all’Asilo Mariuccia, come si dice a Milano? Cioè, i magistrati del Csm sono adulti o bambini che mettono il broncio? Ed è o no una provocazione il fatto di ritrovarsi poi giudicati, sia per il trasferimento che per l’azione disciplinare, davanti a quegli stessi colleghi che si erano offesi o ai loro compagni di banco con cui spesso si dividono vacanze e merende?
Per capire quel che è successo in seguito, basterebbe ricordare quei due giorni nuvolosi ma non troppo caldi del 2018, il 25 e il 26 luglio. Siamo a Roma, il Csm si è finalmente svegliato dal torpore e si è deciso a estrarre dal cassetto tutte le segnalazioni del dottor Lupacchini nei confronti del procuratore Gratteri. Sono fissate due audizioni riservate e separate. Il primo giorno Lupacchini dalle 14 alle 15, l’indomani Gratteri dalle 11,40 alle 12,35. Ci sono un po’ di ore di distanza tra l’una e l’altra, e il procuratore “più scortato d’Italia” pensa bene di farle fruttare. Cioè di cogliere l’occasione del viaggio a Roma per salutare un vecchio amico, anche lui calabrese. Casualmente il “vecchio amico” si chiama Luca Palamara, e casualmente è membro del Csm. Il procuratore lo cerca, l’altro in un primo momento non risponde. Poi, dopo uno scambio di messaggi, i due concordano di vedersi la mattina dopo, alle 8,10 al bar “Il Cigno” di viale Parioli. Cioè dopo l’audizione di Lupacchini, ma prima di quella di Gratteri. Tutto documentato, e tutto casuale, ovviamente.
Non risulta che il dottor Palamara abbia mai chiesto al sindaco di Roma di provvedere con un Tso a far curare il “matto” e neanche che il Csm abbia aperto una pratica che lo riguardasse. Risulta solo che si sia invece solo infierito su un magistrato per bene come Otello Lupacchini, colpevole solo di essersi bruciato le dita, e la carriera, per aver detto piccole cose, rispetto a quelle più gravi che si scambiavano al telefono i membri dello stesso Csm che lo ha inquisito e scacciato. Ah, dottor Palamara, quando sono state rese pubbliche le sue opinioni su di lui, il procuratore Gratteri avrebbe detto, secondo il quotidiano calabrese online Iacchitè: «Io e Palamara non siamo mai stati amici». Quindi, quell’incontro del 26 luglio 2018 non era proprio una rimpatriata tra conterranei, giusto?
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