Tempi grami per la Francia, e per il suo Presidente Emmanuel Macron che vive oramai l’ultimo tratto della sua legislatura osteggiato e avverso alla maggioranza dei suoi compatrioti. L’uomo che doveva essere il simbolo dell’alternativa ai “sovranisti”, stratega per eccellenza, ha imboccato una parabola discendente rapida e dalle tinte drammatiche. Forte del potere che gli attribuisce la Costituzione della V Repubblica, Macron incarna l’idea del Presidente/Monarca deus ex machina della Nazione, regista assoluto di mosse azzardate e ribaltoni istituzionali.

C’è un Macron di destra e  un Macron di sinistra

Fondatore e leader del primo partito post-ideologico nella Francia repubblicana, si è posto al centro dello scacchiere politico, erodendo di volta in volta a destra e a sinistra. Prima risucchiando i socialisti e poi i gollisti, senza perdere mai di vista il suo unico cardine politico: non cedere e non farsi mai percepire debole. Del sistema politico conosce punti di forza e debolezze, del potere presidenziale ogni tentacolo. C’è un Macron di sinistra e un Macron di destra, che si livella in base alle esigenze dei tempi. Il suo essere profondamente un camaleonte della politica si è visto poco nel primo tratto della sua esperienza all’Eliseo, quando il vento era in poppa e la sua republique era En March.

La pura strategia di Macron, specchiarsi e dare risposte

Poi il vento è cambiato, la Francia si è radicalizzata, i contrasti economici si sono fatti più evidenti e allora il Macron inedito ai più si è fatto largo, con le sue mosse spregiudicate. Ma attenzione a non riservare a Macron la definizione che Enrico Berlinguer diede di Bettino Craxi, definendolo appunto “giocatore di Poker”, Macron non lo è: la sua per quanto azzardata possa sembrare è pura strategia. Macron come tutti gli strateghi è un solitario, di De Gaulle ha appreso fondamentalmente un insegnamento: “quando voglio sapere cosa pensa la Francia lo chiedo a me stesso allo specchio”. Così ha fatto dal primo giorno, senza porsi limiti di sorta, forte di un consenso popolare ampio benché reso tale dal sistema elettorale del doppio turno. Come in tutte le vicende in cui per dirla alla Hegel gioca un ruolo “l’astuzia della ragione”, con la vicenda personale di François Fillon, nel caos generale Macron è stata la solidità, la scommessa post ideologica di un paese in grande trasformazione.

L’ultimo anno è stato forse il più duro, più di quello in cui la Francia era invasa dalle proteste dei Gilet gialli, e per la prima volta il potere di Macron ha vacillato. Anche qui Macron ha bruciato tutti sul tempo e sconvolto lo scenario politico, e alla fine ha eretto una diga al centro per drenare gli estremismi, giocando un po’ sull’equilibrismo e un po’ su un sostanziale après moi le déluge. Il governo Barnier è l’ultimo colpo di un politico che ha preso la creatura costituzionale di Michel Debré e ne ha sfruttato ogni piccolo dettaglio in suo favore. Diversa è la percezione un po’ illusoria che Macron rappresenti l’antisovranista, non lo è: Macron è un nazionalista nell’accezione francese del termine, tutto in lui, persino l’Europa, è declinato secondo gli interessi della grandeur e non lo vede solo chi non vuole.

Al nazionalista Macron non piace Emily in Rome

Macron ha immaginato l’Europa a guida francese, non ha sprecato lacrime per l’uscita di scena di Angela Merkel e per la Brexit. Del suo nazionalismo non fa mistero, come ammise tempo fa alla stampa parlando del Jobs Act, e dovendo ammettere di averlo sostanzialmente copiato da Renzi, ma sospirando un hélas, che ricordava quello di André Gide su Victor Hugo. Alle Olimpiadi ha voluto mostrare la grandezza della Francia, finendo però per svelarne il volto grottesco. Nella sua ultima intervista a Variety si è mostrato contrariato per il trasferimento della serie Netflix Emily in Paris da Parigi a Roma, affermando che “non avrebbe senso”, provocando la reazione del Sindaco Gualtieri che ha risposto piccato “Emily a Roma sta benissimo”. Macron è anche questo, attore, regista e sceneggiatore, di una commedia che non ha ancora esaurito l’ultimo atto.