Gli architetti e storici dell’arte contro la decisione
Al via la demolizione dell’ex Catasto di Napoli, la protesta degli architetti: “Edificio storico distrutto senza una visione”

L’edifico dell’ex Catasto di Napoli sbuca incuneato tra via De Gasperi e via Marina. Una palazzina degli ani ’50 di 5 piani a cui probabilmente pochi passanti fanno caso perché lasciata lì all’abbandono da 8 anni, da quando gli uffici furono trasferiti a via Montedonzelli. Ora sarà abbattuta completamente e al suo posto sorgerà un complesso residenziale fatto di 120 appartamenti.
Eppure quella palazzina dimenticata all’abbandono e al niente fa parte della storia di Napoli. “Fu costruita nei primi anni ’50 probabilmente dall’architetto Sirio Giametta che ideò un progetto ampio per quell’area. Certo magari non è un capolavoro ma poteva far parte di un’operazione con una visione per il futuro invece di essere cancellato e basta”. Ne è convinto Andrea Pane, associato di Restauro architettonico presso la facoltà di Architettura della Federico II di Napoli.
Al posto di quella palazzina forse esteticamente brutta ma non messa nemmeno troppo male strutturalemente saranno realizzati appartamenti di lusso con materiale di pregio e garage interrati, il tutto per un progetto ecosostenibile per riqualificare la zona e magari aggiungere un po’ di verde. Il progetto lo ha spiegato a Repubblica Giovanni Fiore, uno degli imprenditori che con la società Magnolia, newco costituita in collaborazione con Glauco Cerri, ha acquistato la palazzina nel 2013.
L’importanza artistico architettonica dell’edificio dell’ex catasto
Per quanto il progetto potrebbe sembrare futuristico e positivo per la riqualificazione della zona, in realtà per gli esperti del settore ha numerose criticità. Innanzitutto per l’aspetto storico architettonico distrutto senza ritegno. “L’edificio è interessante per alcune soluzioni come la piastra dove c’era il grande salone vetrato su via De Gasperi per il ricevimento del pubblico quando era un catasto e anche per alcuni elementi decorativi che sono già stati smontati per conservarli sulle due facciate”, ha detto Pane.
Il docente sorride pensando che gli operai che hanno iniziato a distruggere, come prima cosa hanno smontato e salvato i fregi decorativi. “Che senso ha se poi demolisci tutto il resto?”, si chiede Pane. Il professore racconta che un tempo c’era una legge che stabiliva che ogni edificio nuovo costruito dovesse avere una percentuale di decori artistici per preservare il bello. Ora si costruisce il brutto e nessuno dice niente.
Ex catasto privo di tutela per pochi anni: ha meno di 70 anni
Pane spiega che quell’edificio ha senso se messo in relazione con gli altri edifici di quell’epoca di quella zona. “Magari non è un capolavoro di architettura ma è un edificio che testimonia il modo di costruire, le concezioni spaziali, anche delle soluzioni tecnologiche interessanti di quegli anni – continua Pane – È degno di un interesse documentario ma ha un problema perché avendo meno di 70 anni non è tutelato dal codice dei beni culturali e del paesaggio. Opportunamente qualificato, dotato degli impianti tecnologici e migliorato sul piano strutturale, potrebbe ancora essere utile come si fa in altre parti del mondo dove non si buttano via parti del patrimonio edilizio, si prova a riqualificarlo”.
“Possibile che una vicenda così importante in un luogo così centrale della città non desti nessun interrogativo? Nessun dibattito pubblico sul destino di quell’area? Parliamo di un water front esteso non solo a quella zona ma che in alcuni punti ha ancora edifici residui della guerra, ruderi bombardati negli anni ’40 che potrebbero essere oggetto di operazioni di rigenerazione molto più facilmente e con meno impatto. Non si capisce la ratio”.
“Ben vengano gli interventi del privato ma le istituzioni dovrebbero regolamentare per la tutela di tutti”
Pane e i suoi colleghi architetti non hanno nulla da ridire sull’interesse privato. “Non c’è nulla di male – continua il docente – ma il ruolo del pubblico dovrebbe essere quello di regolamentare tutto questo anche dando alla cittadinanza un minimo di riscontro. Per esempio negli Usa quando si costruisce un grattacielo per legge bisogna costruire anche una piazza o uno spazio pubblico. Qui sembra che l’operazione si chiuda solo in una sostituzione edilizia”.
La zona dove sorge l’edificio dell’ez catasto si trova in un’area già sovraffollata e che presenta problemi di congestione di traffico. “È chiaro che cambiare la destinazione d’uso di quell’area comporta sul piano urbanistico qualche effetto. Sembra che manchi completamente una visione di questo intervento in un discorso più ampio che riguarda tutto il water front”.
“Forse un ragionamento più ampio si poteva fare prima di demolire – spiega Pane – Il costo sarà grande anche a livello ambientale: buttare a rifiuto migliaia di mq di materiali che potrebbero anche non essere tutti perfettamente smaltibili, un tempo nelle costruzioni si usava l’amianto”.
Un costo per la collettività
In altri luoghi il tema della riqualifica è oggetto di studio universitario, di come migliorare l’edificio senza distruggerlo. Non sono operazioni facili ma chissà se demolire e ricostruire sia più semplice. E comunque non è l’unico modo. “Quel pezzo di città ricade nel perimetro del centro storico patrimonio dell’Unesco, una zona abbastanza immobile da molti anni, un intervento come questo avrebbe meritato di essere discusso prima di vedere il cantiere”, dice Pane.
“Il patrimonio di quegli anni ha molta difficoltà a essere riconosciuto perché è molto vicino a noi. Ma chi lo ha studiato sa che c’è tutta una letteratura intorno a edifici degli anni ’50 che ha una sua dignità. Io non sto dicendo che bisogna conservare tutto, anzi. La nostra città ha una quantità di spazzatura edilizia impressionante, edifici privati costruiti con intenti speculativi negli stessi anni. Molti probabilmente andrebbero demoliti e non ricostruiti. Però questo non è un edificio che per me andava cancellato”.
E fa l’esempio dell’edilizia degli anni del regime: “Fino a 30 anni fa a nessuno interessava oggi invece fa parte degli itinerari dell’architettura moderna, si viene per visitare il palazzo della Poste ad esempio”. E cita la situazione poco più avanti di palazzo Ottieri: “Ecco quelle palazzine altissime avrebbero bisogno di interventi coraggiosi e ben vengano i privati. Ma il pubblico deve governare queste operazioni, dare un senso e soprattutto tutelare l’interesse pubblico. Io sono tra quelli che erano pro abbattimento delle vele a Scampia. Poi le ho studiate e ho capito che è stata un’occasione mancata”.
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