Raggiungiamo il professor Aldo Giannuli in una Milano torrida. Il politologo, direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione, trova la forza di scherzare: «Questo è un paradiso tropicale. Dopotutto abbiamo il clima dei tropici». Ha insegnato al dipartimento di Scienze politiche della Statale fino al 2022, e da Milano aveva seguito da vicino la nascita del Movimento Cinque Stelle. Con lui entriamo nel merito della crisi dei populisti. Vera o presunta che sia.

Finito il ciclo del populismo, su scala globale?

«La mia visione d’insieme del periodo che stiamo attraversando la riassumerei in poche parole. Siamo nella merda. Poi veda lei come metterlo».

Beh, professore, posso scrivere che siamo nel fango…

«No, mi scusi: non renderebbe l’idea. Perché non è che è finito il populismo… È che la situazione ha scavalcato il populismo». 

Cosa c’è, di peggio del populismo? Dalle tragedie dei regimi del Novecento alla tragicommedia dei gialloverdi nostrani degli ultimi anni, il populismo… 

«Peggio dei peggiori regimi c’è la condanna del kaos. La tempesta antisistemica di oggi vede coincidere tre cose micidiali. Due guerre (e due guerre di quelle molto difficili da risolvere). E la tempesta finanziaria perfetta, dovuta anche al debito pubblico fuori controllo da parte di tanti. Questo grande kaos sta prendendo corpo nel momento peggiore: la sede vacante di Washington autorizza ciascuno ad agire pro domo sua, cercando di affondare l’avversario prima dell’arrivo del nuovo presidente americano». 

E siamo alla lotta nel fango.

«Nella lotta nel fango ci sono regole e c’è un termine della gara. Il vincitore è in piedi, lo sconfitto infangato. Oggi no: la guerra degli Ottant’anni in Medio Oriente, come si risolve? Quella in Ucraina, quando e come potrebbe finire? Se non c’è sul tavolo una rivendicazione precisa, una istanza ultima del conflitto, lo scontro armato può andare avanti sine die. Putin ha fallito l’obiettivo strategico e non sa come uscirne, ma anche Zelensky – e io sono filoucraino – non sa indicare una soluzione».

In questo interviene la crisi finanziaria, come se non bastasse…

«Era stata a lungo rinviata con immissioni straordinarie di liquidita, una volta per l’impatto del Covid, un’altra in conseguenza delle guerre. Adesso il bazooka è scarico, non puoi immettere a pioggia liquidità e non puoi pensare che con quella pioggia di denaro non dovrai mai farci i conti. In terzo luogo, abbiamo un problema che facciamo finta di non avere: quello delle turbolenze virali. Dopo il Covid c’è nel mondo un cocktail di virus che si alimentano e si modificano tra loro. Dunque la situazione è nera. E se da noi il populismo ha esaurito la sua spinta, prego tutti di considerare come va il mondo, prima di guardare all’Italia».

Il tutto capita con il gendarme del mondo in sede vacante.

«Durerà solo novanta giorni, ma è una sede vacante che incide molto e su tutto. Tutti quelli che vogliono fare qualcosa puntando al fatto che gli americani non imporranno alcuna retromarcia, si fanno avanti. Gli ucraini affondano qualche colpo anche in territorio russo. Israele va a colpire a Teheran. Dal Libano Hezbollah fa partire migliaia di missili sulla Galilea». 

Liberi tutti?

«Biden non è praticamente più in carica. È un presidente dimezzato, indebolito, uscente e non ricandidabile. Il mondo è al crocevia, nel momento di massimo sbandamento, ed è come se la bussola si fosse rotta. Non è esattamente un momento in cui tirare il fato, perché il ciclo del populismo da noi è giunto alla fine».

Anche se la partita a Washington è aperta.

«C’è stato un rovesciamento inatteso della situazione che ha riaperto la partita. Ma ancora con grandi incognite: è come se negli Stati Uniti ci fosse una guerra civile non dichiarata, strisciante, sotterranea. Due parti degli americani divergono sempre più. Hanno smesso, in cuore loro, di considerarsi davvero parte della stessa nazione. Le due fazioni guardano all’altra con odio. Senza rispetto. Non vorrei che la stessa cosa stia accadendo in Europa, si guardi ai disordini in Uk e alla spaccatura in Francia». 

Torno a chiederle: il populismo che esaurisce la sua spinta poi cosa diventa?

«Ho il timore che dopo il populismo possa esserci l’iper-populismo. Trump, Marine Le Pen, Orban e Vannacci sono iperpopulisti. Non è detto che mentre i vecchi populisti tramontano, non sorgano i loro succedanei con tratti forse peggiori». 

Il Movimento Cinque Stelle come si colloca, in questo kaos?

«Non si colloca. Non risulta pervenuto. Sono una moderna edizione del Psdi. Puntano a vivacchiare all’ombra dei grandi partiti, a conservare qualche feudo elettorale senza farsi troppo notare. Avevo previsto che con Conte sarebbero scesi sotto il 10% e nel loro futuro non vedo niente di buono».

Cioè, scenderanno ancora? Conte e Grillo sarebbero ai ferri corti, il primo vuol mettere fine alla diarchia con il Garante. Come va a finire?

«Si prenderanno a pesci in faccia. E non escludo affatto che finisca con una scissione. Perché guarda caso gli ex deputati che non sono stati ricandidati e hanno il dente avvelenato con Conte, si sono schierati con Grillo. Per mettere pace si cerca una donna, senza mettersi d’accordo neanche lì. Il Movimento è diventato un corpo sempre più piccolo. E senza testa. Perché l’unica testa pensante, dai tratti davvero geniali, era Gianroberto Casaleggio. Sono stato molto amico di Gianroberto e devo dire che la sua mancanza si sente». 

Una donna per il dopo-Conte. Può essere Raggi, ma vedo anche Todde molto attiva in veste di paciera…

«Se potessi indicare io un nome, indicherei Chiara Appendino. Donna intelligente e di carattere. Se non avesse avuto la nota disavventura giudiziaria, oggi sarebbe il suo momento. Alessandra Todde è molto in gamba, ma da poco eletta a capo di una Regione importante: o fai il governatore della Regione o fai il capo partito, non è nello spirito del M5S dare un doppio incarico». 

Nel campo largo devono entrare i centristi?

«Mi scusi, ha detto campo largo o camposanto? Renzi e Calenda non sono esattamente il futuro, lo hanno capito tutti. Li vedo destinati alla consunzione. Se Forza Italia sa giocare le sue carte, la ripresa di FI non la escluderei. Ha una classe dirigente, una rete capillare, una buona base finanziaria – che non guasta – e un ancoraggio europeo e internazionale. Bisogna vedere come riesce a emanciparsi dal resto del centrodestra. La fine del populismo la dà l’offerta politica di qualità, ed è dai momenti di kaos che può emergere un nuovo leader». 

Leader, non influencer? Perché oggi i partiti hanno ciascuno un influencer, a capo. 

«La Rete è andata molto oltre quello che prevedeva Gianroberto Casaleggio. Lui parlava di fluidificare la comunicazione, di trasparenza: qui si sta invece sostituendo l’organizzazione. Nella politica e ovunque: anche nelle aziende. Si confonde il piano reale con quello digitale. E questo cambia completamente il paradigma. Il bello della Rete è che a un certo punto invece la spegni e guardi in faccia le persone sedute al tuo tavolo».

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.