Uomini forti, destini forti
"Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità"
Aldo Moro, il presidente del dialogo: 45 anni dopo quel 9 maggio che cambiò la storia
La rubrica “Uomini forti, destini forti” di Carmine Abate. Storie di uomini e di donne che con la loro vita hanno reso grande il nostro Paese
Da dove iniziare per cercare di raccontare una figura come quella di Aldo Moro? È stato, ed è tuttora, uno degli uomini politici più amati dagli italiani. Padre costituente, presidente del Consiglio, più volte ministro e storico leader della Democrazia Cristiana. Inevitabilmente, quando si parla di Aldo Moro, si rischia di schiacciare il racconto della sua vita su quei drammatici 55 giorni del 1978, quelli che Moro trascorse da prigioniero delle Brigate Rosse e che portarono alla sua morte. Ma la storia umana e politica di Aldo Moro non può esaurirsi nel racconto del suo tragico epilogo. Procediamo dunque per gradi.
Aldo moro nasce in un piccolo paesino in provincia di Lecce, Maglie. Padre pugliese e madre calabrese, di Cosenza (doverosa citazione patriottica). Si laurea in Giurisprudenza a Bari e giovanissimo, diventa professore universitario. Entra nella FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana) diventandone il presidente nazionale. Furono anni decisivi per la sua formazione politica. Stringe una solida amicizia con monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) e inizia a frequentare futuri compagni di strada come Giulio Andreotti, che tra l’altro gli succedette proprio alla guida della FUCI.
Sul finire della guerra nel 1943 partecipa a una serie di incontri in casa di Giuseppe Spataro durante i quali ebbe modo di confrontarsi con gente come De Gasperi, Gronchi, Scelba, Piccioni, Fanfani, Dossetti, Andreotti. Nascono in quel momento le basi della Democrazia Cristiana. Nel ’46 Moro viene eletto all’Assemblea costituente e anche lui venne chiamato a far parte della Commissione dei 75 per redigere materialmente la nuova Costituzione.
Entra a far parte del governo De Gasperi nel 1948 come Sottosegretario agli Esteri. Qualche anno dopo sarà Ministro della Giustizia e poi Ministro dell’Istruzione, introducendo nelle scuole lo studio dell’educazione civica. Fu sua l’idea di utilizzare i mezzi della neonata RAI per contribuire all’alfabetizzazione del Paese attraverso le celebri lezioni del maestro Manzi durante la trasmissione Non è mai troppo tardi.
Tra la fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ’60 è uno dei primi a comprendere la domanda di cambiamento che proveniva da una società italiana in fase di profonda trasformazione. Per interpretare al meglio questa esigenza Moro crede, insieme a Fanfani, che la strada da percorrere sia un accordo con i socialisti di Nenni, con l’obiettivo aggiunto di isolare il PCI. Prende così forma la cosiddetta apertura a sinistra, che costò a Moro non poche incomprensioni con Vaticano e Stati Uniti. In quegli anni ottenne il trasferimento alla facoltà di Scienze politiche alla Sapienza, per poter conciliare al meglio i suoi impegni politici e accademici.
Non lascerà mai la sua cattedra e si dedicherà all’insegnamento fino all’ultimo. Era molto apprezzato dai suoi studenti, anche da chi aveva idee politiche contrapposte, i quali ne riconobbero sempre l’estrema disponibilità al dialogo.
Nonostante le opposizioni interne ed esterne, Aldo Moro riuscì a diventare nel 1963 presidente del Consiglio del primo governo di centrosinistra. I socialisti entravano a far parte per la prima volta dell’esecutivo con Nenni vicepremier. Il programma politico di Moro era molto ambizioso e riformatore. Ottenne qualche risultato concreto soprattutto nella prima fase. Riuscì a rimanere al suo posto fino alla fine della legislatura del 1968, ma dovette farlo con tre maggioranze diverse. Ricoprirà poi per diversi anni la carica di Ministro degli Esteri.
Sul finire del 1971 rischia di arrivare al Quirinale, quando la sua candidatura viene superata in extremis da quella di Giovanni Leone. Ritorna a palazzo Chigi nel 1974 per formare il suo quarto governo, questa volta con il repubblicano Ugo La Malfa nel ruolo di vicepresidente. È in questo periodo che inizia il dialogo con il PCI di Enrico Berlinguer con il tentativo di avvicinamento tra comunisti e democristiani che passerà alla storia come compromesso storico.
Questo complicato processo subisce una brusca battuta di arresto il 16 marzo del 1978. Quel giorno Giulio Andreotti si presentava a Montecitorio per chiedere la fiducia della Camera e far nascere così il suo quarto governo. Ma quella mattina non verrà ricordata per questo motivo. Mentre il Parlamento è riunito in aula si sparge una notizia che lascia l’intero emiciclo sgomento: Aldo Moro è stato rapito e gli uomini della sua scorta sono stati assassinati. Avviene tutto nei pressi dell’abitazione del presidente democristiano, all’incrocio tra via Fani e via Stresa, dove ad attendere il passaggio di Moro e della sua scorta c’erano le Brigate Rosse. Iniziano così i giorni più tormentati e difficili della nostra Repubblica. Inizia la prigionia di Aldo Moro nel carcere del popolo delle BR. Per 55 giorni si susseguono comunicati dei brigatisti che chiedono in cambio del rilascio la scarcerazione di alcuni compagni. Si cerca disperatamente di trovare il covo dove le BR tengono rinchiuso Moro, Roma è tappezzata di posti di blocco e gli elicotteri della polizia volano senza sosta sulla capitale. Tutti i tentativi falliscono, compreso quello goffo di via Gradoli (confuso con il comune in provincia di Viterbo e la cui storia meriterebbe un capitolo a parte).
Si formano due fazioni contrapposte che verranno definite partito della fermezza e della trattativa. La classe politica si trovava di fronte a un tragico dilemma, indecisa fino all’ultimo su quale linea adottare e mai veramente in grado a mio avviso (vista anche l’eccezionalità della situazione), di comprendere che cosa fare: scendere a patti con i terroristi salvando così la vita di Moro oppure rifiutarsi di farlo e condannare a morte uno dei migliori uomini politici del nostro Paese? Anche papa Paolo VI, amico personale di Moro dai tempi della FUCI come ricordato inizialmente, pronuncia la sua supplica rivolgendosi agli uomini delle BR e chiedendo di rilasciare il prigioniero senza condizioni. Il suo “senza condizioni”, mi permetto di dire, rendeva di fatto vano l’appello del pontefice.
Aldo Moro durante i giorni della sua prigionia scrisse molto e non fece sconti a nessuno. Sentiva di essere stato abbandonato ed espresse parole forti nei confronti dei suoi amici più stretti, che erano anche gli uomini ai vertici dello Stato dai quali dipendevano le sue possibilità di salvezza. Qualcuno iniziò a mettere in dubbio l’autenticità di quelle carte, insinuando addirittura che se davvero fossero state opera di Moro allora questi era da considerarsi in uno stato alterato (forse perché sorpresi dallo stile così diretto, e inedito, del politico pugliese). Ad ogni modo molti studiosi, oltre a riconoscere la grafia di Moro, ne accertarono l’estrema lucidità. Dolcissime invece le lettere che riservò alla moglie Eleonora.
Il 9 maggio si spegne ogni speranza. Franco Tritto, assistente dell’ex premier, riceve la telefonata che mai avrebbe voluto ricevere. Dall’altro capo del telefono il brigatista Valerio Morucci gli comunica il luogo esatto dove si trova il corpo dell’Onorevole Moro: nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, nel centro di Roma, simbolicamente a metà strada tra via delle Botteghe Oscure (sede del PCI) e piazza del Gesù (sede della DC). Esistono date che rappresentano uno spartiacque; sicuramente nel nostro Paese vi è un prima e un dopo quel 9 maggio di 45 anni fa. Quel giorno l’Italia perse l’uomo che più di tutti tentò di cambiare e di trasformare la società italiana. La classe politica da quel momento in poi dovrà fare i conti con l’enorme macigno di non essere riuscita a salvare il suo uomo più rappresentativo e probabilmente il suo uomo migliore da una fine tragica, che senza dubbio ha contribuito a fare di un personaggio storico una leggenda.
Come sempre mi piace ricordare, prima di concludere, una delle frasi più famose o di maggiore impatto. Questa di Aldo Moro a mio avviso, riesce a riassumerne efficacemente la profondità di pensiero:
“Se fosse possibile dire saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà”.
Aldo Moro
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