Professor Alessio Lanzi, è da poco uscito il suo libro “CSM e giustizia” sulla sua esperienza in consiglio, terminata lo scorso anno. L’inizio è per certi versi brutale: in occasione della valutazione dei possibili candidati alla vicepresidenza, emergono immediatamente le diffidenze di una parte della magistratura rispetto al suo ruolo di difensore, in particolare in processi legati a Berlusconi, e per il suo libero pensiero su temi cari all’avvocatura associata…
«Sì, quando inizia a circolare il mio nome come possibile vicepresidente, le componenti della magistratura associata, in particolare Area, ripescano dal web la mia firma sotto un appello per la separazione delle carriere con altri quaranta professori e una mia audizione su questo tema. Io ho ribadito la mia opinione e nello stesso tempo la mia equidistanza. La mia candidatura è stata affossata per questo, oltre che per un altro tema, spin- to dai giornali. Ero stato difensore di due imputati legati a Berlusconi, poi assolti, e la contiguità al berlusconismo era all’e- poca un mantra da combattere. Peraltro nessun rispetto per l’idea del difensore tecnico e non complice del proprio assistito, a prescindere da chi sia… »

I laici fanno paura alle correnti?
«Hanno un peso. Nella mia consiliatura, diverse nomine sono state fatte proprio in conseguenza della nostra compattezza, e siamo stati blanditi dai togati in molte occasioni. Ad un certo punto, imponemmo – ed era una novità assoluta – un nostro rappresentante nella riunione settimanale dei capicorrente (come capocorrente veniva indicato tendenzialmente il più votato tra gli eletti), su questioni generali e organizzative. L’esperienza è durata poco perché le riunioni terminarono con lo scandalo Palamara, quantomeno alla luce del sole, perché il coordinamento è continuato in modo informale. E’ evidente una certa dose di ipocrisia, legata alla “caccia al correntismo” che partì all’epoca. Le correnti sono un fenomeno umano, perché le persone si aggregano per affinità culturale. Il problema è la degenerazione, e cioè il correntismo, l’imporsi pro o contro, a seconda dell’appartenenza, nelle nomine per gli incarichi direttivi e semidirettivi».

Ma è cambiato qualcosa post affaire Palamara?
«Io ho provato ad incidere con una semplice riforma regolamentare, ovvero il voto segreto nella designazione dei capi degli uffici, per consentire di discostarsi dalle dinamiche di corrente. La proposta non è passata. Non si è voluto cambiare nulla».

In un paio di occasioni, è stato attaccato in consiglio per la sua libera manifestazione di pensiero… come ha vissuto quegli attacchi e ha avuto manifestazioni di solidarietà?
«Una prima volta accadde in relazione alle indagini in Lombardia sul COVID, che dichiarai in un paio di interviste essere state caratterizzate da un esercizio esorbitante di potere da parte di una Procura della Repubblica. Apriti cielo! In una riunione da remoto, un magistrato di Area lo considerò un comportamento di gravità assoluta. Peraltro, un folto gruppo di magistrati sottoscrisse un documento di dissenso, sottolineando la libertà di parola dei componenti del consiglio. Anche altre volte, esponenti di Magistratura Indipendente mi hanno difeso rispetto ad attacchi che, a mio parere, miravano a comprimere la mia libertà di azione o di opinione. In una occasione mi ha difeso addirittura Nino Di Matteo… »

Ma nel CSM si fa politica? Hanno fatto scandalo le parole dell’attuale vicepresidente Pinelli, che in una recente conferenza stampa di bilancio dell’attività del Consiglio ha esplicitamente affermato che il precedente Consiglio abbia avuto un’impronta politica, condivide?
«Tutti hanno un’opinione politica anche in consiglio e questo è normale. Voglio ricordare l’introduzione di Tullio Padovani, in un famoso libro del compianto prof. Filippo Sgubbi: scrisse che oggi non si può più dire che la magistratura sia politicizzata, oggi la magistratura è la politica. Si persegue un disegno di gruppo, la conservazione del proprio potere rispetto agli altri poteri, non c’è l’adesione a valori dei partiti ma uno scopo proprio. Sui pareri, tema a cui ha fatto cenno Pinelli, è vero che si è consolidata un’interpretazione secondo cui quando le riforme hanno ricadute ordinamentali essi possono essere dati anche senza una richiesta del ministro. Ed è chiaro che, in materia penale, non si possano negare queste ricadute in quasi ogni riforma. Ha un senso tornare a limitare il potere del CSM come “terza camera”, ma l’attività consultiva a richiesta non è sbagliata, perché come organismo di rilievo costituzionale è giusto che esprima un’opinione, purché poi non diventi vincolante».

Ultimo punto, gli avvocati nei consigli giudiziari: ha espresso un’opinione dubbiosa in passato, nel libro ne accenna. Come si può dare un senso alle previsioni della riforma?
«Nel Consiglio, il peso dei laici è legato alla caratura dei singoli, e anche alla compattezza del gruppo laico. Ho scritto nel libro di avere – credo – contribuito a fare buone nomine, evitando con il peso del nostro voto gli effetti deteriori del correntismo. I laici sono fondamentali, perché altrimenti il CSM sarebbe sovrapponibile ad ANM e diverrebbe puro organismo sindacale. Una proporzione più a favore della componente laica sarebbe sensata, ma anche così il peso è notevole.
Il problema di trasporre tutto questo nei consigli giudiziari è che lì i magistrati non vanno fuori ruolo e gli avvocati non devono cancellarsi dall’albo. E quindi tutto è più complicato. Secondo me gli avvocati e i pubblici ministeri non dovrebbero dare pareri sui giudici, ma la situazione è falsata dalla mancata separazione delle carriere, e quindi ben venga il parere dell’avvocatura. Certo, i consigli dell’ordine dovrebbero attrezzarsi, soprattutto per esprimere il voto unitario, e creare un collegamento stabile con i laici. E le camere penali sono nella mia esperienza più attrezzate sul tema rispetto agli ordini».

Valentina Alberta - avvocato penalista

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