È nato questa settimana alla Camera l’intergruppo parlamentare sul ‘garantismo’. A farne parte, per il momento, Enrico Costa (Azione), Roberto Giachetti (Italia Viva), Luciano D’Alfonso e Marco Lacarra (Pd), Giorgio Mulè e Pietro Pittalis (Forza Italia), Dario Iaia e Ylenia Lucaselli (Fratelli d’Italia), Simonetta Matone (Lega), Maurizio Lupi (Noi con l’Italia), Riccardo Magi (+Europa) e Filiberto Zaratti (Avs). Gli unici non pervenuti in questa compagine quanto mai trasversale, i deputati grillini.
Il programma dell’intergruppo garantista «in queste ore sta già raccogliendo molte adesioni di numerosi parlamentari», assicura Costa che è stato fra i promotori dell’iniziativa. Sarà “una zona franca”, aggiunge Costa, i cui obiettivi saranno quelli di espandere il più possibile nella legislazione futura «il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza, il giusto processo, la concezione di diritto penale come extrema ratio. Pilastri essenziali e irrinunciabili della nostra democrazia», puntualizza il deputato di Calenda. L’intergruppo, in particolare, punterà a “tutelare e attuare i principi costituzionali alla base dello stato di diritto” e sarà soprattutto un ‘pungolo’ nei confronti del ministro della Giustizia Carlo Nordio sul quale si concentrano molte aspettative.
Il Guardasigilli, al netto degli iniziali bei proclami, non ha ad oggi però prodotto iniziative legislative degne di nota. Nessuna riforma delle intercettazioni telefoniche, nessuna limitazione a uno strumento altamente invasivo come il trojan, nessuno modifica dei reati contro la pubblica amministrazione, a iniziare dal quanto mai evanescente “traffico d’influenze illecite”. E poi, nessun progetto di legge per una vera separazione delle carriere fra pm e giudici, con concorsi separati e due distinti organi di autogoverno. I maligni dicono che la premier Giorgia Meloni non voglia andare allo scontro con le toghe e quindi con l’Associazione nazionale magistrati. Molto meglio, quindi, un profilo basso senza riforme che potrebbero irrigidire i pm e far rivivere all’esecutivo la stagione dello scontro toghe-politica di berlusconiana memoria.
Nordio, poi, in questi primi mesi di governo ha riempito nuovamente gli uffici di via Arenula di magistrati ‘fuori ruolo’, mettendoli tutti in posti di comando, a iniziare da quello di capo di gabinetto e per finire a quello di numero uno del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Una decisione che non deve aver fatto certamente felice lo stesso Costa che da sempre è in prima linea per evitare che il Ministero della giustizia venga ‘colonizzato’ dalle toghe. È inutile, infatti, parlare di riforma della giustizia se non si mette prima un freno agli incarichi che la politica affida ai magistrati.
Se l’iniziativa dell’intergruppo avrà successo lo si vedrà nelle prossime settimane. Nordio, tornando alla riforme, ha, in un recente incontro con i vertici dell’Unione delle Camere penali, fatto sapere che «c’è stata la condivisione di un preciso e netto cronoprogramma, che avevamo già scandito d’intesa con gli altri colleghi sottosegretari». «Entro fine aprile-metà maggio avremo un primo pacchetto di norme, ovviamente da sottoporre al necessario contraddittorio», ha affermato il ministro.
Sul punto Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia in quota Forza Italia, ha annunciato che ci sarà «una sorta di sistema componibile tra riforma dell’abuso d’ufficio, del traffico di influenze, riforma della prescrizione, interventi sulla figura del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio e normative per contrastare le baby gang». Sul fronte del processo penale, ha aggiunto Sisto, «ci saranno interventi sulla possibilità per il pubblico ministero di appellare le sentenze di assoluzione e sull’informazione di garanzia, che non deve essere più una condanna anticipata. E, sullo sfondo il grande tema delle intercettazioni telefoniche». Staremo a vedere.