Il sì del Sultano all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato
Allargamento della Nato sulla pelle di 100mila curdi: venduti alla Turchia dopo averci salvato dall’Isis
Ricordate gli eroi di Kobane? Le eroine di Kobane? Quelle comandanti peshmerga che hanno guidato la resistenza curda contro l’Isis ad Oriente? Le guerriere curde che hanno sconfitto i tagliagola islamisti? Se le son vendute. Ad Erdogan, il loro persecutore. Vendute per poter scavalcare il veto del presidente turco all’ingresso di Svezia e Finlandia della Nato. Con tanti saluti ai toni commossi sulla Stalingrado del Vicino Oriente, ai racconti epici sulla straordinaria generosità delle protagoniste dell’estremo scontro in città per arginare l’avanzata dell’esercito islamista che nel 2015 terrorizzava il mondo. A Kobane vivono curdi, arabi, turcomanni e una discendenza armena (gli armeni in fuga dall’Anatolia arrivarono nel 1915 per poi emigrare in massa in Unione Sovietica negli anni ’60).
Fu con quella straordinaria vittoria nel 2015, quando la guerra a singhiozzo dell’Isis sembrava impossibile da fermare e invece i curdi la fermarono, che Kobane, l’enclave curda nel nord della Siria chiamata dagli arabi Ayn al Arab, diventò la nuova Stalingrado. Prima che scoppiasse la guerra civile in Siria, tra il regime di Damasco e i suoi oppositori, la città era passata sotto il controllo degli indipendentisti curdi dell’Ypg, l’Unità di protezione popolare, il braccio armato del Partito dell’Unione democratica nato nel 2004 e meno conosciuto del partito dei lavoratori curdi (Pkk). Kobane è la loro avanguardia, l’avanguardia simbolica dell’avanguardia armata, la vetrina della società aperta che i partiti indipendentisti curdi dicono di volere. Comunque la si pensi la sua sola esistenza è uno schiaffo in faccia all’oscurantismo dell’Isis nel cuore dell’agognato impero Daesh. Venduta anche lei, Kobane, l’altro ieri durante il vertice Nato di Madrid. Venduta al Sultano che s’avvicina sempre più alla città con bombardamenti puntuali ormai ogni mese, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e lui può allargarsi per alzare il prezzo di ogni suo futuro passo indietro. Il 2 luglio del 2014, l’isis arrivò alle soglie di Kobane. Respinto. Ci riprovò a settembre. Respinto. Ai primi di ottobre del 2014 la città era stretta d’assedio da tagliagole vestiti di nero che si muovevano da sud e da ovest. Riuscirono ad entrare nei sobborghi. E li rimasero.
Sono stati costretti a combattere casa per casa dalla resistenza curda, il 12 ottobre l’Isis era arrivata a conquistare l’80% dell’intera area urbana. Venne in poche notti travolta da un contrattacco da manuale dei curdi delle unità miste e femminili. Un’operazione di guerriglia lodata da pile di analisi di osservatori militari stranieri increduli, attoniti di fronte alla morte in combattimento di una ragazzina, Arin Mirkan, morta in un attacco suicida dentro una roccaforte dell’Isis. Il 26 gennaio 2015, dopo oltre quattro mesi di combattimenti e circa 2000 morti, i curdi si riprendono l’intera la città, grazie anche a una copertura aerea internazionale, provvidenziale ma dovuta. Il presidente turco Erdogan ha fatto un ottimo incasso a Madrid. Diceva da settimane agli sherpa svedesi, finlandesi e ai loro accompagnatori americani, ansiosi di uscire dallo stallo del negoziato sull’ingresso svedese causato dal veto turco, “se smettete di proteggere i 33 curdi che avete in Svezia, me li estradate e smettete di dare appoggio ai partiti curdi in Turchia e nel mondo, io vi lascerò entrare nella Nato”. Serve l’unanimità dei membri Nato, per consentire l’ingresso di un candidato.
I Paesi dell’alleanza l’hanno ottenuta, con la mediazione personale con Erdogan del segretario generale dell’Alleanza Stoltenberg che l’ha rivendicata pubblicamente a sé orgoglioso. Svezia e Finlandia hanno promesso ad Erdogan – un tipo che sa come farsi mantenere le promesse – a non fornire alcun sostegno al Pkk e al movimento gulenista, movimento islamico il cui leader, Fethullah Gulen, vive negli Stati Uniti in esilio e che Ankara accusa di essere l’ideatore del tentativo di golpe nel 2016. E si sono impegnate a interrompere ogni aiuto alla milizia curda Ypg, che dopo aver respinto le milizie dell’Isis a Kobane e averle sconfitte per conto nostro, ha ripreso il controllo di fatto del territorio autonomo de facto del Rojava, nel nord est della Siria, territorio che la Turchia sta attaccando anche militarmente con incursioni sempre più frequenti in Siria.
La Turchia, che vuole costruire lì un’area cuscinetto per sé, sta attaccando quasi incessantemente i curdi in Iraq e in Siria. Da cinque anni ormai Ankara spinge ad ondate verso il nord della Siria, una strategia militare che le ha permesso di conquistare centinaia di chilometri di terra, spingendosi per circa 30 chilometri, Da aprile l’esercito turco ha lanciato un’offensiva contro le basi del Pkk nel nord dell’Iraq e ha compiuto una serie di raid nel Rojava. Il mese scorso, la Siria aveva dichiarato che «le minacce aggressive del regime turco rappresentano una flagrante violazione del diritto internazionale e dell’integrità territoriale e della sovranità del paese». Oggi, mentre le richieste di Erdogan venivano concretizzate a Madrid, il presidente al-Assad, sostenuto da Mosca, ha riconosciuto in via ufficiale l’indipendenza e la sovranità delle repubbliche di Donetsk e di Luhansk nel Donbass.
Ovvio che il Sultano voglia cogliere l’attimo diplomatico a lui propizio per far man bassa e consolidare le posizioni già prese. Clamoroso che ci riesca. Che lo faccia sotto l’ombrello Nato e la mediazione personale di Stoltenberg. Che la Svezia sia entusiasta dell’affare concluso. E che gli svedesi non travolgano il loro governo per questo.
I curdi profughi in Svezia, centomila persone, fanno il poco che possono. “Questo è un tradimento a noi da parte del governo svedese, dei Paesi della Nato e di Stoltenberg che ingannano un intero gruppo che ha liberato se stesso e il mondo intero dall’immondizia”, protesta inascoltata la deputata indipendente nel Parlamento di Stoccolma, Amineh Kakabaveh. E’ grazie alla astensione di lei, di Amineh kakabaveh, ex combattente peshmerga, che il governo svedese è sopravvissuto il mese scorso a un voto di sfiducia.
Il memorandum che ha sbloccato la trattativa con Erdogan contiene un riferimento chiaro ai curdi «terroristi» da non proteggere mai più e, secondo i media di Ankara, anche promesse di singole estradizioni. Non sarà possibile nessun effetto automatico dell’accordo sulla sorte dei 33. Il diritto all’asilo è protetto da norme giuridiche che non si abbattono con una decisione presa a un vertice Nato. ma certo Erdogan sa di avere le mani libere. Prima di volare a Madrid, in una telefonata con Biden, Erdogan aveva avvertito che non si sarebbe accontentato di «parole vuote», ma pretendeva «risultati concreti». Ora cercherà di ottenere il massimo possibile anche sull’altro tavolo aperto per lui con il vertice di Madrid. Quello su cui si gioca le nuove consegne di F-16, dipendenti dalla decisione turca di dotarsi di batterie missilistiche russe S-400. Scavalcare l’embargo alle armi gli interessa ancor più che umiliare i curdi da estradare.
© Riproduzione riservata