La storia di una serie di regole che non potevano più essere sopportate, di una scuola che le stava “rovinando la vita”, e infine di una pistola, quella di ordinanza, che la giovane, una ragazza di 25 anni del Secondo battaglione (in procinto di concludere il secondo anno di corso), ha impugnato per porre fine alle sue sofferenze psicologiche.

Risale al 22 aprile scorso il suicidio dell’allieva della Scuola marescialli di Firenze; un’altra pagina nera nel sistema militare del Paese, che ha visto dal 2019 al 2023 – come testimonia l’osservatorio suicidi in divisa – quasi 300 persone togliersi la vita, e che ora obbliga a monitorare lo stato di salute della generazione dei ragazzi. Una vita atipica per una giovane donne della sue età, scandita dalle ferree regole a cui i giovani vengono sottoposti. Era obbligata a presentarsi tutte le mattine alle 6:15 fuori dalla sua stanza, nonostante avesse sintomi influenzali e il Covid; la porta della sua camera doveva restare sempre aperta a meno che non fosse in regime di libertà; non poteva tenere il beauty case in bagno; anche durante le libere uscite era soggetta a regole sull’abbigliamento; doveva necessariamente tenere i capelli raccolti e non poteva indossare determinate calzature; le sanzioni venivano decise a sorte, con un dado; un voto basso all’esame, infine,  la costringeva a saltare il pernotto. Regole tipiche dell’ordine militare, ma che nella ragazza avevano iniziato a pesare, fino a stabilire una condizione di forte stress psico-fisico. Il racconto della vicenda avviene per opera della famiglia e arriva attraverso una lettera rilanciata dall’associazione sindacale dei carabinieri Unarma. I due confermano il forte stress della ragazza, raccontando le confidenza della giovane.

Il messaggio dei genitori contro il sistema

Il messaggio lanciato dalla coppia è chiaro: “Vogliamo manifestare la nostra totale disapprovazione nei confronti di un sistema costituito da gerarchi inseriti in un contesto che non manifesta valori umani”.  Il padre, anch’egli carabiniere, entra nel dettaglio: “Stava perdendo i capelli, ci inviava spesso foto di come era costretta a vestirsi”. Nei mesi scorsi, l’uomo aveva avuto un acceso dibattito con un ufficiale della scuola, proprio in riferimento al mancato rispetto della malattia della figlia, costretta all’adunata con la febbre alta. Ripercorrere in parte le orme del genitore era sempre stato un obiettivo della giovane, “una scelta spontanea”; un percorso intrapreso anche dopo aver sperimentato la realtà della Marina, ma già nei primi giorni di frequentazione della scuola aveva manifestato l’intenzione di abbandonare quell’ambiente troppo rigido. Quella scuola, raccontava alla madre, le stava rovinando la vita.

Le indagini e gli esposti contro la scuola

Le indagini, nei prossimi giorni, si concentreranno sul cellulare della ragazza. Al suo interno potrebbero esserci informazioni utili per ripercorrere i giorni precedenti il suicidio, per capire quanto e in che misura le vessazioni abbiano pesato sulla sua scelta. Nell’ultimo anno, gli esposti del sindacato Unarma, avevano segnalato un regime fuori-misura della scuola, con il controllo dei messaggi Whatsapp privati e le perquisizioni degli effetti personali contenuti nelle varie valigie. Elementi che assieme all’assenza di buone condizioni igieniche della struttura (con tanto di topi), avrebbero spinto 60 allievi marescialli ad abbandonarla.

Il suicidio, un problema da affrontare

A parlare – ai microfoni di Repubblica – è anche lo zio della ragazza, che sposta i riflettori sul tema del suicidio: “Non si è mai parlato di questo argomento,  un po’ perché anche tra le famiglie subentrano sensazioni di rabbia e di vergogna, un po’ per una questione di immagine. Adesso per c’è un problema da affrontare”. L’uomo ricorda la nipote come  “una ragazza molto intelligente, con il dono dell’altruismo, tanto da dedicarsi al nonno novantenne, al lavoro, sacrificando gli svaghi”. Non soffriva il peso delle regole ma la loro incoerenza. Regole che “non avevano un’utilità formativa”. “Si chiedeva quale fosse il fine. Forse il modello formativo era rimasto quello di 30 anni fa, ma i tempi della società cambiano”. L’appello lanciato dal parente è quello di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta, per creare un punto di incontro tra un codice formativo e le nuove esigenze delle generazioni presenti.

Redazione

Autore