Tra disastri e opere ferme
Alluvione nelle Marche, 40 anni di ritardi e opere incompiute per proteggersi dal fiume Misa

Undici morti, due ancora dispersi con ricerche che ad oggi non hanno dato esito, tra cui il piccolo Mattia, bambino di 8 anni strappato dalle braccia della madre per la violenza dell’onda di acqua e fango che li ha travolti.
Ma nelle Marche colpite da una pesante alluvione non è solo il tempo del lutto, è anche quello delle polemiche. Bisognerà fare chiarezza infatti su quanto accaduto giovedì dove nessuno ha comunicato per tempo al dipartimento della Protezione Civile che si stava per riversare su Senigallia e dintorni una tempesta tropicale di proporzioni ciclopiche. I satelliti militari, in particolare quelli in dotazione al servizio meteorologico dell’aeronautica, hanno fotografato la situazione per tempo? Possibile che non si è potuta accertare l’inusuale densità delle nubi in movimento, sia pur veloce? Se sì, quali campanelli di allarme non sono scattati?
Ma le polemiche più forti arriva da Senigallia e in particolare dal Misa, il fiume che si era già reso protagonista di almeno tre alluvioni, l’ultima nel 2014, costate la vita a oltre venti persone con danni milionari per la città, oltre ad altri episodi ‘minori’.
Eppure, come ricordano oggi Corriere della Sera e Repubblica, poco o nulla è stato fatto per la messa in sicurezza. Come la cassa di espansione posizionata fuori città, a otto chilometri dalla foce del Pisa, rimasta un progetto. Studiata nel 1982, è rimasta solo sulla carta. Eppure era una opera fondamentale dato il carattere torrentizio del fiume, come scrisse nella sua relazione sul Piano straordinario di individuazione delle aree a rischio idraulico l’ingegnere Alessandro Mancinelli, già consulente del comune di Senigallia: ciò vuol dire che il fiume è capace “di portate nulle nel regime di magra e di piene di centinaia di metri cubi”, come nel caso di giovedì.
DI quella cassa di espansione da tre milioni cubi di capacità, con 4 miliardi di lire messi sul tavolo concretamente nel 1985, non se ne fece nulla: colpa anche dei comitati cittadini contrari a colate di cemento, col risultato di trasferire quei soldi alla Provincia di Ancona, cui nel frattempo venne data la delega alla difesa del suolo: il risultato finale fu che tutti si dimenticarono dell’unica opera pubblica capace quanto meno di limitare possibili disastri come quelli avvenuti nei giorni scorsi.
Un secondo progetto per l’area arriverà soltanto nel 2014, ai tempi del governo Renzi e della sua missione ‘Italia Sicura’, poi cancellata dall’esecutivo Conte: 85 milioni degli otto miliardi complessivi per la costruzione della cassa di espansione per il Misa, all’indomani dell’alluvione del 3 maggio che ha colpito sempre Senigallia provocando quattro morti.
Anche qui tutto si ferma nel 2020, spiega al Corriere Erasmo D’Angelis, ora segretario generale dell’Autorità di bacino del Tevere ma che nel 2014 era il coordinatore della struttura di missione di Italia Sicura: “Per una questione di espropri — spiega — la procedura si è bloccata ancora per un anno e solo nel febbraio scorso, dopo le pressioni dei sindaci del territorio, c’è stata la consegna dei lavori, ma ancora non è partito nulla. Sono state sistemate solo alcune arginature”.
Ritardi su ritardi anche per i piani regionale. Nel 2009 erano state avviate gare per i lavori di messa in sicurezza del Misa perché ritenute “urgenti e prioritarie”. Risultato? Come ricorda il Corriere, nonostante i fondi a disposizione solo una minima parte degli interventi sul fiume verrà realizzata, con i primi bandi appaltati nel 2018 solo per un tratto del fiume, ma con lavori bloccati per problemi legati alla Via, la valutazione di impatto ambientale. Il progetto viene modificato, si ‘sprecano’ altri tre anni fino a quando nel 2021 i 900 mila euro stanziati per il posizionamento delle vasche di espansione hanno un loro utilizzo in un cantiere che viene aperto pochi mesi fa in località Bettolelle.
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