"Ho ascoltato il consiglio di mia moglie"
Alluvione Valencia, il racconto di Paolo che prepara zuppe agli sfollati: “Uno tsunami di fango, un’onda di 6 metri ha spazzato via tutto”
La Dana continua a spaventare Valencia. I danni provocati dall’alluvione sono ingenti, il terrore è palpabile, il rischio nubifragi genera ansia e angoscia, l’allerta arancione fa temere il peggio. La conta dei morti non si arresta e le ricerche dei dispersi proseguono senza sosta. Mentre la catena dei soccorsi procede spedita, è fondamentale riavvolgere il nastro e provare a capire cosa è accaduto. Lo fa Paolo Quadrini, un italiano che da anni vive a Valencia e che al Riformista affida la ricostruzione di quei momenti drammatici che hanno sconvolto la Spagna e non solo.
Paolo è un noto ristoratore originario di Chieti. Vive in Abruzzo fino al 1985, poi si trasferisce a Bologna. Ma lui cerca una città di mare che gli permetta di continuare a praticare la sua grande passione che risale ai tempi della scuola: il football americano. Così nel 2001 approda a Valencia, si sposa con Cristina e nel 2018 apre Quadrini, uno dei ristoranti più apprezzati in città che tutt’ora gestisce.
Martedì alle 20:15 sul cellulare arriva l’allarme della Protezione civile e della Guardia civile. Paolo si mette in contatto con sua moglie, che gli consiglia di tornare a casa tranquillo. “Chiudi il locale, tanto è un martedì e non ci sarà quasi nessuno”, lo implora. Invito accettato: “Infatti non valeva la pena restare lì, né mettere a repentaglio l’incolumità dei miei lavoratori”. Così, una volta fatto rientro nella sua abitazione, seguono la diretta in televisione e iniziano a capire che più di qualcosa non sta andando per il verso giusto: “Ci siamo resi conti che iniziava a essere un disastro, anche se in quel momento non si parlava di morti. Ora il numero cresce giorno dopo giorno e, quando le acque si ritireranno, verrà fuori molta gente che ha perso la vita”.
È fondamentale anche osservare un punto tecnico. Il fiume principale di Valencia è il Rio Turia, che fu protagonista di un’esondazione – “tipo quella di Firenze” – nel 1957. Il suo letto fu deviato da Nord verso Sud. Ed è ciò che oggi ha salvato la città. Così il Turia si è incanalato nel nuovo Rio e non ha toccato Valencia, risparmiata dall’alluvione che invece ha devastato le zone circostanti. Il peggio si è riversato su Utiel-Requena, Buñol, Chiva, Cheste, “tutta la zona che sta verso Madrid, in montagna”. Paolo riporta la testimonianza di un suo amico di Chiva: “Mi ha raccontato che è stato un vero e proprio tsunami di fango, è arrivata un’onda di 5-6 metri e ha spazzato via tutto all’improvviso”.
A distruggere la parte Sud di Valencia è stato il Rio Magro, che passa per Picanya, già esondato nel 2000 con danni significativi alla Comunità Valenciana. “Quell’anno furono fatti dei piani per proteggere le nuove costruzioni ma sono state dimenticate quelle vecchie, che poi sono state travolte”, aggiunge Paolo. Che tiene a specificare un particolare: “A Valencia città è stata una giornata di pioggia assolutamente normale con un vento fortissimo. In città non si è mai avuta la sensazione di pericolo. Non c’è stata una pioggia abbondante che potesse dare un avvertimento immediato”.
La catastrofe in particolar modo si è abbattuta nelle zone di Benetússer, Alaquàs, Alfafar. Qui gli allagamenti dei garage sono frequenti: “Quindi come cadono 4 gocce d’acqua tirano fuori le macchine”. Ma questa volta è stato tutto fatale. E pensare che in un primo momento il termometro della percezione segnava altro: “Sembrava una cosa importante ma non così grave”.
In tutto ciò arrivano puntuali i fenomeni di sciacallaggio. Persone spregiudicate che – cavalcando il trauma della popolazione, nella speranza di restare impunite – saccheggiano negozi, case e automobili. Gioielli, racchette da paddle, scarpe, vestiti e prosciutti. Paolo parla di una situazione che rischia di andare fuori controllo: “Circa 200 sono stati identificati, una trentina di persone è stata messa in prigione senza possibilità di uscire con il pagamento della cauzione. Le cose andranno sempre peggio”.
Se da una parte emerge il volto deplorevole dell’umanità, dall’altra si afferma con forza quella migliore. La mancanza di elettricità, acqua e gas, l’interruzione delle linee telefoniche e le difficoltà nel distribuire cibo non fermano le persone di buon cuore. L’operato di Paolo, nel suo piccolo, è lodevole: con il suo cuoco prepara pentoloni di zuppa per aiutare chi ne ha bisogno. “Ieri ho preparato circa 60 porzioni”, fa sapere.
Di certo occorrerà tempo per recuperare anche solo un pelino di normalità. “Serviranno anni e anni, il disastro è stato enorme”. Il tempo vissuto in Italia fa balzare agli occhi di Paolo una differenza di fondo nel modo di reagire e di rispondere ai drammi: “Solo ieri c’è stato un coordinamento a livello generale da parte dell’Esercito per gli aiuti. Fino a poco fa i volontari hanno fatto quel che potevano e forse si è creato più casino…”. Ma di certo la buona volontà non si può fermare. Sono state montate delle cucine; in tutta la città ci sono punti di raccolta dei generi alimentari; sanitari e medici prestano le cure del caso. “C’è stata una solidarietà incredibile”. Ora arriva la fase più dura: rialzarsi e spalare nel fango, nella speranza che una tragedia simile resti solo un lontano ricordo.
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