Sì, i due – il capo dello Stato e il capo del governo – si erano incontrati “prima”. E Mattarella non è Trump. E non sta al fianco di Giorgia Meloni solo perché gli è “simpatica”. Non è un caso il fatto che in questi giorni il presidente della repubblica, nonostante alcune sollecitazioni anche giornalistiche, abbia opposto un riguardoso silenzio sulla vicenda Almasri e l’iscrizione sul registro degli indagati della premier Giorgia Meloni con due ministri e un sottosegretario. Perché era stato informato e perché non era rimasto né stupito né contrariato dalle intenzioni di Giorgia Meloni su un’uscita pubblica che avrebbe evitato le inevitabili, e mirate, finte indiscrezioni giornalistiche.

Si chiama cortesia istituzionale, proprio quella che non è stata osservata dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi. Il quale avrebbe ben potuto, come spesso si fa nelle relazioni tra vertici istituzionali, trovare strade diverse da quella adottata. Che, come ormai hanno ben capito tutti, persino gli zucconi del Pd che vanno a rimorchio dei diktat del sindacato magistrati come tenere pecorelle al pascolo, non era affatto obbligato a iscrivere gli esponenti del governo sul registro degli indagati. Avrebbe dovuto – lo ha ripetuto anche ieri il viceministro Francesco Sisto nella solita trasmissione-trappola di La7 – cestinare l’esposto dell’avvocato Li Gotti. “Una mezza paginetta senza i nomi delle persone su cui indagare, con allegati ritagli di giornale”, lo dice con chiarezza, parola per parola. Il procuratore Lo Voi avrebbe potuto anche trasmettere l’atto al tribunale dei ministri con allegata una richiesta di archiviazione. Tutte ipotesi a norma di legge.

E non valgono argomenti come quelli di una ritorsione personale da parte del procuratore a causa di un suo conflitto con il governo per una questione di voli di Sato. Sarebbe offensivo nei confronti di un magistrato con lunga e prestigiosa carriera alle spalle pensare che possa aver assunto decisioni così gravi per fatto personale. Ma non si può negare che il problema del rapporto tra i poteri legislativo e esecutivo e l’ordine giudiziario sia politico. Tanto politico che, non appena la presidente Meloni, rientrata dal Colle e dopo aver informato Mattarella, si è affacciata sui social per comunicare, con tanto di foglietto ufficiale tra le mani, quello che stava succedendo, a stretto giro di fiato arrivavano le comunicazioni del sindacato delle toghe. Poi la “dialettica” si è spostata al Csm, dove, su iniziativa delle consigliere laiche Isabella Bertolini e Claudia Eccher cui hanno aderito anche gli altri esponenti eletti su iniziativa del centrodestra Bianchini, Aimi e Giuffrè, è stata presentata la richiesta di apertura di una pratica sul comportamento del procuratore di Roma. Anche l’Unione delle camere penali dice la sua.

Sono gli argomenti di buon senso che chiunque sia in buona fede dovrebbe fare propri. Ma è anche la storia di una riforma, quella dell’ex ministra Marta Cartabia, la quale sottolineava che l’iscrizione nel registro degli indagati non deve avvenire in automatismo, ma solo sulla base di indizi. La fattispecie del resto riscriveva quella che era stata la circolare del 2017 del predecessore di Lo Voi, Giuseppe Pignatone, il quale aveva evidenziato quanto spesso certe denunce fossero strumentali e infondate, e aveva messo in guardia i pm dal farsi portavoce automatici di iscrizioni non necessarie se non dannose.

Ma lo stesso Csm – hanno ricordato i consiglieri laici – in occasione del giudizio richiesto sulla riforma Cartabia aveva ribadito nella delibera consegnata al Parlamento quanto fosse ineliminabile un criterio di discrezionalità nella decisione di iscrivere. E avevano vergato un parere più che esplicito: il pm dovrà “preliminarmente valutare un materiale investigativo ampio oppure apprezzare con oculatezza le complesse risultanze di fatto in modo da evitare iscrizioni precoci e indiscriminate”. Non sappiamo se il comitato di presidenza del Csm aprirà una pratica su Francesco Lo Voi, ma quel che è certo è che, se il procuratore ha preso quella decisione che ha coinvolto mezzo governo e ha conquistato le prime pagine di tutto il mondo, dovrebbe per forza aver valutato “con oculatezza” la mezza paginetta dell’avvocato Li Gotti. E il fatto che lui stesso abbia dichiarato invece di essersi sentito obbligato a quell’iscrizione, dimostrerebbe che ha infranto la legge e ignorato lo stesso parere del Csm.

Tutto ciò non è affatto secondario. Anche se ormai la pubblica discussione, che non può avvenire in parlamento dopo che i partiti dell’opposizione si sono rifugiati sull’Aventino, si è spostata sull’espulsione di Almasri. Si fingendo di non capire la necessità della ragion di Stato, determinata anche da accordi assunti con le tribù libiche da un presidente che si chiamava Paolo Gentiloni, un ministro dell’interno di nome Marco Minniti, quando il guardasigilli si chiamava Andrea Orlando. Il quale deve aver cambiato idea, visto che si agita come un Conte qualunque.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.