Il caso dei documenti tra Pristina e Belgrado
Alta tensione in Kosovo, barricate e scontri tra serbi e polizia: la questione targhe infiamma i Balcani
La tensione mai sopita del tutto tra Kosovo e Serbia torna a crescere. E a poco è servito il rinvio della legge che avrebbe obbligato all’uso di documenti e targhe kosovari in tutto il Kosovo, incluse le aree a maggioranza serba del Paese. La questione, appunto, al momento è solo rimandata. E preoccupa gli osservatori che richiamano, seppure in dinamiche e modalità diverse, la guerra in corso in Ucraina.
Serbi del Kosovo hanno eretto barricate, bloccato con camion parcheggiati i due principali passaggi di confine tra Kosovo e Serbia, i valichi di Jarinje e Brnjak che sono stati chiusi dalla polizia. Ci sono stati degli spari contro gli agenti anche se la polizia ha detto di non avere conferma di feriti da armi da fuoco. Domenica il governo di Pristina ha annunciato di aver rimandato di un mese l’obbligo. La minoranza serba che vive in Kosovo, maggioritaria nel nord, rappresenta circa il 5% della popolazione da un milione e 800mila abitanti, dipende finanziariamente da Belgrado e resta legata alle sue strutture parallele in Kosovo. Utilizza prevalentemente targhe immatricolate da Belgrado.
Il governo di Pristina aveva imposto di cambiarle con quelle kosovare. Secondo il primo ministro Albin Kurti una misura di reciprocità in quanto la Serbia, che non riconosce l’indipendenza dichiarata dalla Regione il 17 febbraio 2008, chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. La NATO, che è presente nel Paese con la sua missione Kosovo Force (KFOR) da 3.500 uomini dalla fine della guerra nel 1999 sulla base della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha definito “tesa” la situazione e in una nota aveva annunciato la KFOR pronta a prendere “tutte le misure necessarie per mantenere un Kosovo sicuro in ogni momento”.
La stessa NATO ha però invitato il premier Kurti a rimandare la decisione sulle nuove regole. La Rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo ha lanciato un appello alla calma, al ripristino della libertà di movimento e affinché si eviti un’ulteriore escalation: “Esorto tutti ad affrontare i problemi in buona fede attraverso il dialogo facilitato dall’Ue, per rafforzare la stabilità e la sicurezza per tutti”. La situazione dopo la guerra civile tra il 1998 e il 1999 e la dichiarazione di indipendenza nel 2008 resta molto delicata in Kosovo tra la minoranza serba e la maggioranza albanese.
Kurti ha dichiarato che “le prossime ore, i prossimi giorni, le prossime settimane potrebbero essere molto problematiche”. Il Presidente serbo Aleksander Vucic ha replicato che a Belgrado “preghiamo per la pace, ma se maltratteranno e uccideranno i nostri fratelli la Serbia vincerà”. Entrambi i Paesi hanno fatto richiesta per entrare nell’Unione Europea. La Serbia tuttavia è molto vicina alla Russia, che come la Cina non ha riconosciuto l’indipendenza di Pristina. Preoccupa che il conflitto possa riproporre le stesse posizioni della guerra in Ucraina.
E infatti da Mosca si è fatta sentire la portavoce del ministero degli esteri russa Maria Zakharova che ha parlato di “un’altra prova del fallimento della missione di mediazione dell’Unione europea” e dei serbi che “non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà, e si prepareranno a uno scenario militare”. Dagli Stati Uniti appelli alla distensione. L’ambasciatore americano a Pristina, Jeffrey Hovenier, ha sollecitato Kurti a cercare una soluzione pragmatica sulle targhe e intanto ha suggerito di rinviare ulteriormente la scadenza per mettere in regola i documenti.
La situazione al momento è rientrata. L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera Josep Borrell: “Ora ci si aspetta che tutti i blocchi stradali vengano rimossi immediatamente. Le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall’UE e l’attenzione è sulla normalizzazione globale delle relazioni tra Kosovo e Serbia, essenziali per i loro percorsi di integrazione nell’UE”. L’inviato nei Balcani dell’Unione Europea Miroslav Lajcak ha commentato positivamente la decisione del governo di Pristina di rinviare l’obbligo invitando le parti a trovare un punto d’incontro.
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