Le amministrazioni locali hanno l’opportunità di destinare somme in bilancio con lo scopo di sostenere il commercio locale e le filiere produttive che ne fanno parte. Ebbene, quanto spende il Comune di Napoli per lo sviluppo e il sostegno al commercio? Appena 2,48 euro pro capite, meno di tutti i grandi Comuni italiani e, con una cifra così modesta, si colloca in fondo alla classifica stilata dalla fondazione Openpolis. La città più virtuosa, invece, è Trieste che spinge l’economia locale destinando al commercio 15,81 euro per cittadino; poi ci sono da Firenze e Bari che spendono rispettivamente 14,48 e 13,62 euro pro capite.

«I numeri parlano chiaro, è evidente che il Comune dovrebbe fare molto di più – commenta Vincenzo Schiavo, presidente di Confesercenti Campania – Le imprese napoletane accusano già un divario enorme rispetto a quelle attive in altre città italiane visto che qui i clienti spendono meno; se poi aggiungiamo che il Comune di Napoli investe pochissimo e che in altre grandi città, al contrario, si sborsa otto volte di più, una riflessione diventa doverosa».

Se è vero, quindi, che la capacità o meno di fatturare attraverso un esercizio commerciale dipende molto dalle caratteristiche dell’imprenditore che lo avvia, è altrettanto vero che l’amministrazione comunale può mettere in atto diverse azioni di politica pubblica volte a sostenere l’economia. Nella parte delle uscite all’interno dei bilanci dei Comuni, infatti, una voce è dedicata a “Commercio, reti distributive e tutela dei consumatori”: si trova in una missione dal titolo “Sviluppo economico e competitività”, in cui sono incluse anche “Industria, pmi e artigianato”, “Ricerca e innovazione” e “Reti e altri servizi di pubblica utilità”. Nel capitolo di spesa per il commercio sono comprese, inoltre, le attività per il settore della distribuzione e della conservazione, oltre che per la programmazione di interventi e progetti di sostegno e sviluppo del commercio locale. Si intendono compresi i mercati rionali, l’organizzazione di fiere cittadine, ma anche i sussidi e i contributi per la promozione di politiche improntate sull’incentivo all’acquisto presso gli esercizi locali.

A quanto pare, però, per tutte queste attività l’amministrazione guidata dal sindaco Luigi de Magistris (nella foto) fa decisamente poco, il che appare ancora più allarmante visto che Napoli ha accusato il duro colpo infertole dalla pandemia: nel secondo trimestre del 2020 sono state 5.700 le imprese che hanno chiuso definitivamente i battenti, 108 quelle che hanno dichiarato il fallimento e 3.700 i casi in cui una società è stata intestata ad altri soggetti. Come si risolleva un’economia ormai allo stremo? «Il Comune deve investire in piattaforme tecnologiche che permettano a un commerciante di poter vendere a un cliente di Milano o a un consumatore che vive in America anche se la saracinesca del suo negozio è abbassata – suggerisce Schiavo – La prossima amministrazione dovrà senza dubbio spingere di più in questa direzione perchè è inverosimile che la terza città d’Italia spenda meno di tutte per lo sviluppo dell’economia locale». Da qui l’appello del presidente di Confesercenti: «Chiediamo ai candidati sindaci di Napoli di impegnarsi nei confronti delle imprese napoletane per restituire loro la dignità economica che meritano».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.