I grandi eventi, anche infausti, hanno sempre ripercussioni sulla scienza e sulla tecnologia. Il motivo è che le sfide, più sono impegnative, più richiedono avanzamenti nelle conoscenze. E siccome ogni frammento di conoscenza è un tassello nell’enorme mosaico del Sapere Universale, i progressi compiuti rimangono anche quando cessa la causa occasionale che li ha prodotti.  L’epidemia di Covid-19 è sicuramente l’avvenimento più sconvolgente per la vita delle persone di tutto il mondo dell’ultimo mezzo secolo. Si è detto che è come una guerra, e forse è vero, ma almeno stavolta il genere umano è schierato tutto dalla stessa parte. Non è mai possibile giudicare un periodo storico, mentre si sta vivendo. Occorre sempre aspettare che si sia concluso e lasciare che la polvere sollevata dallo scompiglio si depositi. Magari poi ci si accorge che dalle macerie emergono gioielli inaspettati. Per ora si possono fare solo previsioni, ma previsioni non arbitrarie, perché il passato ci fornisce una bussola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi tentarono di fiaccare la resistenza britannica sviluppando una strategia impensabile. Invece di (limitarsi a) bombardare le città con ordigni convenzionali sganciati da aerei, concepirono la possibilità che un ordigno speciale potesse arrivare da solo sul proprio obiettivo.

Nacque così la V1, la bomba volante che veniva lanciata dalla Normandia direttamente sul suolo inglese. La storia della propulsione a reazione per il volo aereo era iniziata nel 1939, con i primi jet da caccia, e continuò con la V2, una bomba volante di gittata superiore, che veniva sparata nella stratosfera e ricadeva verticalmente sul bersaglio. Macchine di distruzione e di morte che, però, alla conclusione della guerra, consentirono di costruire stormi di aerei a reazione per unire pacificamente i continenti e i razzi Apollo per la conquista della Luna.
La missione Apollo fu un titanico sforzo tecnologico per affermare la supremazia nei cieli, dovuto a un’altra situazione di conflitto, stavolta latente, la Guerra Fredda. Ma, da quel progetto, sono derivate scoperte e invenzioni che hanno rivoluzionato la vita quotidiana. I microchip, poi impiegati nei computer e nei cellulari; la Tac, che permette di guardarci dentro, invece (o prima) di intervenire chirurgicamente; i filtri potabilizzatori, usati per purificare la poca acqua trasportata sulla Luna; le leggerissime coperte termiche, capaci di contrastare l’ipotermia, adesso utilizzate in emergenze quali disastri naturali e recuperi in mare; gli utensili portatili a batteria, come trapani e cacciaviti elettrici, di cui il precursore fu la trivella per il suolo lunare; il cibo liofilizzato e il latte in polvere per neonati allergici; i materiali a memoria di forma, con cui adesso si fanno materassi e suole per le scarpe da ginnastica e che originariamente servivano per proteggere da possibili urti le pareti della navicella; le lenti antigraffio per occhiali, che imitano la tecnologia usata per le visiere dei caschi degli astronauti.

In realtà, molte di queste invenzioni erano allo stadio embrionale prima di ricevere l’impulso decisivo per la loro maturazione. La crisi dovuta all’epidemia è durata pochi mesi, e tutti ci auguriamo che finisca al più presto, per cui è mancato il tempo di sperimentare nuove tecnologie. Inoltre, durante le guerre, i laboratori di ricerca sono ampliati e finanziati cospicuamente, mentre in queste settimane sono stati chiusi o hanno lavorato a regime ridotto. Tuttavia alcune tecnologie preesistenti riceveranno un impulso fortissimo dalla situazione attuale. Guardate questo video https://www.youtube.com/watch?v=2DJmIjKtVkA. Siamo a Singapore, la città stato nella quale le autorità ritenevano di aver sconfitto il virus già ad aprile, ma si sono dovute tristemente ricredere. Ad ammonire le persone in strada perché mantengano la distanza di sicurezza è un cane robot, provvisto di una voce cordiale e suadente. I robot sono impiegati correntemente come giocattoli per intrattenere i bambini, o per accogliere i clienti in molti grandi alberghi. Sono per lo più androidi, ovvero con fattezze umane, e possono muoversi e parlare.
Il cane robot, in realtà un cane acefalo (una testa forse gliela potevano mettere, anche solo per motivi estetici…) fa molto di più. Sul dorso piatto può trasportare carichi fino a 14 kg, dispositivi per il riconoscimento delle forme e per il soccorso, come la botticella del San Bernardo. Ma la caratteristica più sorprendente è il movimento. Non si limita a fare qualche passo o a spostarsi su ruote. Il cane robot cammina proprio come farebbe un cane e ne imita la forma delle zampe. Un robot su ruote o su gambe si muove goffamente su un terreno accidentato, mentre il cane robot, col baricentro basso, quattro punti di appoggio e indipendenza di movimento delle singole zampe, supera ostacoli e si sposta disinvoltamente su percorsi impervi.

Io vado volentieri in motocicletta e da ragazzo mi capitava di fare escursioni fuori strada. Avevo appreso la difficoltà di procedere su un fondo irregolare e l’attenzione che bisognava fare nel procedere, decidendo ogni volta dove dirigere la ruota anteriore, per non perdere l’equilibrio. Una volta mi proposero un’escursione a cavallo. Accettai per curiosità, non avendo mai cavalcato. All’inizio della salita nel letto di un torrente asciutto ebbi la sensazione che devono aver provato i Singaporiani guardando il cane robot che si destreggiava nel parco. Il cavallo decideva da solo dove mettere gli zoccoli, non c’era bisogno che gli indicassi io su quale sasso poggiarli! Bastava indicare la direzione approssimativa con un tocco di redini e la strada la trovava lui. A chi sia abituato ad andare a cavallo apparirà del tutto scontato, ma per me, che fino ad allora ero stato in sella solo a un mezzo meccanico, sembrava stupefacente. Il motivo è che… il cavallo è intelligente! è in grado di prendere decisioni autonome, non occorre guidare le sue azioni. È sufficiente spiegargli cosa fare e poi decide da solo come farlo. Il cane robot lo stesso. Non è intelligente come un cavallo, o come il cane che intende imitare, ma ha una sua forma di intelligenza. Artificiale, ma comunque intelligenza.

L’intelligenza artificiale non è un programma nel senso tradizionale del termine. Al cane robot non si dice cosa fare passo dopo passo, gli si lascia la facoltà di stabilirlo da solo, entro certi limiti e con certi vincoli. Il cane robot prova e registra il risultato della prova. Quindi riprova sulla base di ciò che ha imparato dalla prova precedente e procede così, facendo molti errori all’inizio e sempre meno, man mano che affina le sue capacità. Se si trova davanti a una situazione sconosciuta, si basa su quanto appreso e tenta di risolvere il problema. Se non riesce, ritenta e così via, finché non ha successo. A questo punto, la nuova situazione entra a far parte del suo bagaglio di esperienza e la volta successiva, in circostanze analoghe, saprà come comportarsi. Se la vogliamo proprio rappresentare come un programma, l’intelligenza artificiale è un software che scrive se stesso, che aggiunge in continuazione nuove righe di programma.

L’intelligenza artificiale, in verità, è già presente in molti casi nei nostri smartphone e nelle nostre auto. Però prima non la vedevamo, così come non vedevamo una macchina a immagine di un animale che ci è familiare. Ora invece il cane robot comincia a circolare nelle strade, ci cammina accanto, ci ammonisce amorevolmente a non avvicinarci troppo gli uni agli altri, a indossare correttamente la mascherina e a evitare i luoghi chiusi, se non è proprio necessario. La simbiosi con i robot sarà la soluzione di molti problemi. I tempi sono maturi e la pandemia potrebbe essere il punto di svolta per accettarli e diffonderli. Guidare questo cambiamento spetta a noi ed è questa la prova più impegnativa a cui siamo chiamati: dimostrare che l’intelligenza umana sovrasta e governa quella artificiale.