Storia di un’intervista oscena censurata da Travaglio
Altro che eredi di Montanelli, Travaglio e co. e il giornalismo che diventa lo scantinato di un Tribunale
Immagino che voi pensiate che una intervista sia un genere giornalistico nel quale l’intervistatore pone delle domande, possibilmente cattive e incalzanti, e l’intervistato risponde come pensa che sia giusto rispondere. Beh, siete gente antica. Al Fatto Quotidiano hanno inventato altri generi di intervista. Più moderni. Il principale è stato battezzato il “genere Lillo”, perché inventato proprio da Marco Lillo, uno dei principali investigatori del Fatto di cui è anche vicedirettore.
Lillo immagina che una intervista consista in un gruppo di domande (modificabili) poste dall’intervistatore, e in un gruppo di risposte che lo stesso intervistatore detta all’intervistato. In particolare, se per caso l’intervistato è un imputato, è molto importante – e su questo il compito dell’intervistatore è vigilare bene – che le risposte dell’intervistato corrispondano perfettamente alla versione dell’accusa. Altrimenti è oltraggio. E un giornale serio come il Fatto (che talvolta definisce vermi i propri avversari, talvolta nani, bomba, innominabile, pregiudicato…) non può permettersi di oltraggiare qualcuno. Comunque mai i magistrati.
Questa è la storia della mancata intervista di Marco Lillo, vicedirettore del Fatto, ad Alfredo Romeo, fondatore della Romeo Gestioni (azienda leader in Europa nel facility management, che più o meno vuol dire manutenzione cura e restauro di edifici e strutture edilizie) ed editore di questo giornale. Conosco bene la storia di questa intervista perché, essendo amico di Romeo, l’ho seguita giorno dopo giorno. È durata un paio di settimane. Probabilmente ce ne sono molte altre di interviste abortite, simili, che io non conosco. Credo comunque che valga la pena raccontarla.
Alfredo Romeo un mesetto fa si presenta al suo processo (Consip) e rilascia una lunga dichiarazione spontanea, nella quale spiega come e perché non esista traccia di nessun reato da lui commesso, e come e perché le gare Consip siano state truccate ai suoi danni. Accusa il mondo politico e lo stato maggiore di Consip. E anche alcuni magistrati che ritiene si siano comportati in modo non corretto o non adeguato o persecutorio.
Il Fatto non scrive una riga, anche perché in questa udienza l’accusa parla pochissimo e quando parla fa una specie di autogol. Dunque non c’è ragione di riferire sul Fatto. Però, probabilmente, Lillo si incuriosisce. Forse perché nella deposizione di Romeo ci sono dei riferimenti non troppo lusinghieri su Matteo Renzi. Roba ghiotta per il Fatto.
Non so se è per queste ragioni che pochi giorni dopo la deposizione Marco Lillo chiede un’intervista a Romeo. Il quale, come spesso gli succede, non ha grandi problemi a parlare, se qualcuno vuole interrogarlo (capita raramente). Lillo, tra l’altro, vuol sapere se c’è stato quel famoso incontro tra Romeo e Tiziano Renzi (sì, c’è stato e non si è parlato di Consip) attorno al quale si discute da anni (nessuno però l’ha mai chiesto a Romeo). Benissimo, dice Romeo, tutte le domande che vuole, risponderò a tutte senza silenzi o reticenze. Però scritte. Domande scritte e risposte scritte.
Okay, dice Lillo e si mette a lavorare. Ci mette un po’ a preparare 10mila battute di domande. Non molto brillanti, per la verità, sembrano scritte più da un Pm, o da una guardia, che da un giornalista. Romeo non fa una piega. Risponde a tutte le domande. Con circa 15 mila battute. È raro, francamente, vedere un’intervista dove le risposte non siano almeno il doppio più lunghe delle domande, ma Romeo si adegua e accetta la sproporzione. Manda il tutto a Lillo. Nel frattempo arriva la richiesta di rinvio a giudizio per Romeo e per gli altri imputati Consip (nel secondo dei processi Consip, perché i magistrati hanno preferito spezzettare i processi) e Lillo scrive sul Fatto che il merito di questa richiesta è suo (in un primo momento i Pm avevano chiesto l’archiviazione) e che l’inchiesta in realtà l’ha condotta lui, e che finalmente la verità prevale. Credo che su questo abbia ragione (non sulla verità ma sulla conduzione dell’inchiesta). L’inchiesta è sua. E forse anche la richiesta di rinvio a giudizio.
Dopodiché scrive a Romeo che il testo delle risposte non va bene, perché è troppo lungo. E allora lui ha fatto un sunto. Riducendo da 25 mila battute complessive a 7.000, cambiando tutte le risposte e persino le domande. Queste 7000 battute sono un’opera di fantasia del tutto priva di legami con il pensiero di Romeo. Il quale gli risponde: Amico mio, così non si può fare. Tu mi hai censurato e io non ti autorizzo a pubblicare. Lillo risponde a sua volta, cadendo dalle nuvole, che per carità, nessuna censura, è solo una questione di lunghezza, e chiede a Romeo di riscrivere tutto, partendo dalle nuove domande, ma di non superare le 10 mila battute. Romeo accetta e l’altro ieri manda il nuovo testo. 10 mila battute comprese tutte le domande di Lillo. Le risposte contengono critiche ad alcuni magistrati (in particolare il Gip Sturzo, ma anche altri) e accuse ai vertici Consip e a diversi esponenti politici, tra i quali Renzi e i renziani.
Romeo spiega come lui sia stato escluso da tutte le gare sebbene sia considerato, nel campo, di gran lunga il numero uno, riferisce delle intercettazioni, agli atti, dalle quali risulta che i vertici Consip avevano l’ordine di escludere Romeo dagli appalti, se la prende con l’ AD di Consip, con i renziani, con Verdini e con altri, e infine smonta la storiella del bigliettino con scritto “30 a T e 5 a Rc” che secondo Lillo è la prova della corruzione e invece non è nulla. Racconta anche di come, dalle intercettazioni sempre agli atti di uno dei due processi, risulta che gli investigatori concordarono con un imputato una perquisizione e alcuni interrogatori. E questo imputato – evidentemente molto poco credibile – è l’unica fonte di indizi contro Romeo.
La tesi di Romeo è che ci sia stata una congiura? No: due congiure. Una dei magistrati di Napoli che volevano colpire Renzi a tutti i costi, e una dei magistrati di Roma che, a tutti i costi, volevano salvare Renzi. Lui, Romeo, è finito in mezzo come doppio parafulmine e capro espiatorio. Benissimo. Tutto a posto. Si aspetta la pubblicazione. Ma in serata arriva un messaggio di Lillo che spiega che lui non può pubblicare l’intervista perché le cose sostenute da Romeo non coincidono con le opinioni di Lillo e soprattutto con le accuse dei Pm.
E ciò, ovviamente, non è ammissibile. Quindi, o Romeo cambia radicalmente le risposte, o l’intervista è impubblicabile. Spiego a Romeo che queste cose, tanti anni fa, le faceva anche un magistrato russo che si chiamava Vyšinskij. Lui però non si rassegna al sistema Vyšinskij e non cambia le risposte. Siccome però era una bella intervista, la pubblichiamo noi. Ringraziando Lillo per la collaborazione.
© Riproduzione riservata