La riapertura delle scuole è un tema sul quale si misurano la solidità e la capacità del Paese e, ovviamente, si giudica l’operato del Governo e della classe dirigente in questo drammatico frangente di pandemia. Tema che dovrebbe essere al centro dell’attenzione di politici, esperti, addetti ai lavori. La parola d’ordine “riaprire le scuole” mi vede in linea di principio totalmente d’accordo. A patto che tale riapertura sia voluta, progettata e messa in atto in condizioni di totale (per quanto possibile) sicurezza per la salute di docenti, studenti e personale.
È chiaro che, a questo riguardo, non si può non parlare della politica adottata negli ultimi decenni. Blocco del turn-over, taglio dei finanziamenti, scarsa immissione in ruolo di nuovo personale, precari e tappabuchi nell’ordine di centinaia di migliaia, ogni anno, edilizia scolastica e manutenzione di edifici vecchi e pericolosi inesistente, mancata eliminazione delle cosiddette classi-pollaio (sebbene pedagogisti ed esperti concordino sul numero massimo di 12-15 studenti per classe, per ottenere un risultato ottimale dal punto di vista didattico, e sia evidente la necessità di aumentare lo spazio fisico destinato a ciascuno studente in un’aula): di questi tempi, aver perseguito questi obiettivi avrebbe dato tra l’altro un aiuto enorme alla gestione della pandemia nelle scuole.
Bisogna riaprire le scuole solo quando tutto ciò sarà risolto? Sarebbe stupido chiederlo, ma tuttavia è bene e necessario che il Governo indichi con convinzione questi obiettivi, con atti politici e normativi da mettere in pratica da subito. A ogni modo, per riaprire, è necessario far sì che nella scuola ci sia un adeguato livello di sicurezza (i soldi ci sono, serve la volontà): questione vaccinazione prioritaria per il mondo della scuola, con mascherine Ffp2 a docenti, studenti, personale; strategie per testare e tracciare professori e allievi ogni giorno; dividere le classi in gruppi di non più di 12-15 studenti, con un congruo numero aggiuntivo di docenti, e programmare e far partire i concorsi per centinaia di migliaia di posti; cercare e attrezzare in breve tempo strutture adatte all’accoglimento di classi di studenti.
Bisogna rendere operativo tutto ciò. E comunque non basterebbe. I trasporti sono ancora un ostacolo enorme. Da più parti si è chiesto di stipulare convenzioni con ditte di bus turistici, per il trasporto scolastico, con un duplice risultato: risolvere il problema trasporti di studenti e docenti, da un lato, e alleviare lo stato di inattività delle ditte e dei loro dipendenti. E invece niente! Anche questo si potrebbe fare in poco tempo, impegnando i prefetti, i dirigenti scolastici, le ditte, con un impulso e una regia nazionali dei ministeri interessati. I tavoli provinciali e regionali ne hanno parlato? Se non se ne parla e non si risolvono tutte queste cose, la disputa apertura sì/apertura no non ha senso.
Durante questi mesi di didattica a distanza, i docenti hanno lavorato, e tanto. Se si escludono pochi casi (che ci sono comunque, a distanza o in presenza) di “sfaticati” o di “furbetti” (presenti peraltro in ogni categoria di lavoratori e cittadini), tutti hanno fatto il loro dovere. Anche a “distanza”. Affermazioni del tipo «recuperiamo il tempo perduto andando a scuola anche a luglio» suonano offensive. Tutti, insegnanti e studenti, hanno lavorato, sodo, parte in presenza, parte a distanza. Non sono stati in vacanza né gli uni né gli altri. Che l’istruzione sia davvero al centro dell’attenzione nazionale e non si cerchino scorciatoie per strani giochi politici.