Quando il mio cellulare ha vibrato il suo “drin”, svegliandomi, sapevo che era l’ora del New York Times e ho cominciato a leggere l’editoriale per gli abbonati con un crescente senso di malessere: vi si diceva che è ora di liberarsi di tutti coloro che nel mondo non appartengono all’area dem-laburista (mia semplificazione) e che sia Orban che il Primo ministro del Regno Unito Boris Johnson sono comunque personaggi della stessa pasta di Trump ed è ora che il mondo democratico e antifascista cominci a liberarsene. La parola antifascista, come si sa, ha assunto un nuovo significato perché negli Usa ha attecchito la sezione americana di “Antifaschistiche Aktion”, una organizzazione molto vecchia creata in origine dalla Repubblica Democratica Tedesca e che oggi è la capofila nelle manifestazioni anti-Trump insieme a Blm (Black lives matter).
È importante ricordarlo perché se andate a rivedere su youtube o nei footage delle news ciò che è accaduto a Capitol Hill, udrete in più occasioni delle voci che gridano “Antifà! Antifà!” indicando alcuni dei più acrobatici manifestanti fra quelli che hanno fatto irruzione nel tempio sacro della democrazia americana, Congresso e Senato, indossando berretti o sciarpe con il nome di Trump. Durante i mesi che sono seguiti all’assassinio da parte della polizia di George Floyd e poi di altre vittime di violenze poliziesche gli Stati Uniti sono stati devastati da “riots”, cioè sommosse violente con incendi e saccheggi che hanno provocato un forte rigetto da parte della maggioranza degli afroamericani, che si sono sentiti usati politicamente dopo aver subito trattamenti brutali della polizia.
Chiunque abbia vissuto negli Usa sa bene, ma lo vediamo anche al cinema e nelle serie televisive, che quando un automobilista viene fermato per un controllo deve comportarsi sudando freddo in maniera totalmente obbediente e passiva se non ci vuole rimettere la pelle, quale che ne sia il colore. Ciò nulla toglie al reale razzismo che sopravvive e prospera in molte aree degli Stati Uniti. Questa premessa serve a spiegare perché le urla “Antifa” che si sentono tra la folla spesso inorridita dei tumulti di Capitol Hill hanno un senso che a noi spettatori lontani e generalisti tende a sfuggire. Ho letto e ascoltato le tesi di Rudolph Giuliani che è l’ultimo difensore di Trump, suo avvocato, ex sindaco eroico di New York durante gli attacchi alle Twin Towers. È un uomo di parte dichiarata e dunque da prendere con le molle, ma devo confessare di essere rimasto colpito dai video tratti dai telegiornali in cui si vedono – ben separati dai famiglioni sovrappeso dei trumpisti vocianti, in genere oltre i sessanta – pattuglie di giovani atletici in tute paramilitari, attrezzati con corde e ramponi per alpinismo che danno l’assalto alle mura del Capitol su cui si arrampicano con la velocità dell’uomo-ragno. Si vedono poi gruppi di questi atletici manifestanti mentre danno l’assalto a uno sparuto gruppo di agenti di polizia in assetto antisommossa, giovanissimi e tremanti di paura. I video mostrano allora degli omoni alti due metri, con cappello da cowboy, camicie sgargianti, barboni e muscolatura da lottatori che difendono i poliziotti mettendosi fra loro e quelli in tute mimetiche che prendono a spintoni respingendoli.
Sullo sfondo si sentono di nuovo voci di donna gridare “Antifa”. Lo stesso grido è stato lanciato nei momenti di massima violenza degli sfondatori di porte interne e tutti abbiamo provato un arresto cardiaco vedendo le pistole spianate degli agenti in borghese dall’interno da cui è partito uno e un sol colpo che ha abbattuto una giovane donna uccidendola come una mucca al macello. Il resto l’abbiamo visto tutti: il gaglioffo che si è seduto con i piedi sul tavolo di Nancy Pelosi e lo stravagante individuo che indossava pelle e corna di bufalo che però nelle concitate voci dei cronisti italiani sono diventate corna “celtiche”, cioè più o meno naziste quando erano corna di bufalo e pelle di bufalo su una faccia dipinta con colori di guerra (o scopiazzati come tali) dei nativi.
Qui non si tratta di difendere Trump, che è indifendibile: il Presidente ha certamente invitato e incitato i suoi supporters a interferire con le procedure parlamentari di consacrazione e legittimazione del nuovo presidente degli Stati Uniti John Biden. Trump ha come minimo perso la testa quando ha accusato di codardia il suo fedele vicepresidente Pence che nella sua funzione istituzionale ha presieduto la seduta che consacrava l’elezione di Biden che Trump, primo presidente nella storia recente degli Stati Uniti, ha dichiarato di non riconoscere come vittorioso. Follie e atti di rottura imperdonabili e che infatti non saranno perdonati.
Tuttavia si tratta di atti politici, per quanto traumatizzanti, ben espressi da Donald Trump Junior che si è rivolto alla folla dicendo: «Noi qui non siamo il partito repubblicano, ma i repubblicani di Trump». Il Gop (partito repubblicano) ha reagito spaccandosi e dividendosi, ma anche raggruppando i politici più vicini al presidente come i due senatori di origine cubana Marco Rubio della Florida e Ted Cruz del Texas. Ed allora è intervenuta la censura su tutti i social per il presidente che si è visto buttar fuori da Facebook, Instagram, Twitter e anche dal nuovo social Parler, eliminato da Apple. In un mondo in cui la voce e anche le urla e persino gli improperi corrono soltanto via social, sono state resecate le corde vocali di Donald Trump, ridotto al mutismo. Giustificazione: le parole del Presidente potrebbero essere nuovamente usate per promuovere atti di ribellione e illegalità. L’Olimpo dei social ha emesso un decreto esecutivo e con un solo colpo di fulmine – zòt – la sentenza è stata eseguita senza perder tempo in atti giudiziari.
Sarà giusto? Sarà sbagliato? Io appartengo a una generazione allevata nell’orrore per i roghi dei libri accumulati sui falò dei nazisti, perché mai la parola umana, per scellerata che sia, può essere annullata con atti unilaterali. Questa piega ha impensierito moltissimi liberal che non sono affatto contenti dei un attivismo che non fa parte della tradizione e delle leggi stesse. Infine, la richiesta in discussione di porre Trump per la seconda volta in stato d’accusa con una procedura che non ha alcuna speranza di completarsi per i tempi che richiede, ma che è stata promossa dalla speaker della House, Nancy Pelosi con un solo scopo: impedire preventivamente oggi – quali che siano i possibili esiti di tutte le inchieste giudiziarie e politiche sull’accaduto – che Donald Trump possa fra quattro anni candidarsi alla Casa Bianca. Nancy Pelosi ha anche compiuto un gesto assolutamente anticostituzionale rivolgendosi al capo dello staff della Difesa per domandargli di non eseguire ordini legittimi di azione militare eventualmente decisi da Trump fra oggi e il momento della sua uscita dalla Casa Bianca.
L’iniziativa è stata da tutti considerata propagandistica e probabilmente illegale, tanto che Nancy Pelosi se l’è vista prontamente respingere come irricevibile, ma dobbiamo prendere atto che malgrado la richiesta sia basata sul nulla, Il sistema mediatico più o meno unico si è schiarato con la Pelosi e, come dicevamo all’inizio, la testata più ragguardevole degli Stati Uniti ha ieri sostenuto che la decapitazione mediatica del re ribelle Donald Trump potrebbe essere l’occasione giusta per far fuori anche gli altri capi sgraditi ai dem, incluso Boris Johnson colpevole di aver usato dati ingannevoli per difendere la Brexit. Conclusione: gli Stati Uniti sono da molti anni una nazione profondamente spaccata e consapevole di esserlo in cui si battono forze radicali liberiste come quella di Trump e altre che stanno emergendo dalla seconda fase della presidenza Obama fortemente orientate verso una forma di socialismo altrettanto radicale e diverso da qualsiasi socialismo abbia sperimentato l’Europa, da quello laburista socialdemocratico a quello stalinista, che in America oggi è sorprendentemente rappresentato nei dibattito pubblico.
È dunque giusto e allarmante doversi chiedere dove andrà l’America, che ne sarà dei suoi conflitti con la Cina e per il rinnovamento della sua democrazia e burocrazia poliziesca interna. E, ancora una volta, repetita juvant, malissimo ha fatto Trump ad agire come ha agito, dire quel che ha detto e come lo ha detto. Ma vogliamo esprimere una preoccupazione in più: che i fatti americani, per lo più intraducibili dal sistema mediatico continentale europeo salvo eccezioni, diventino strumenti per una catena di analogie e forzature ridicole, come quella di trasformare le americanissime corna di bufalo in simboli celtici, cioè parenti della svastica anziché di Buffalo Bill.