Vince l'astensione
Analisi delle elezioni amministrative: chi ha vinto e chi ha perso
A Wimbledon, tempio del tennis, prima di entrare sul Centre court i giocatori incrociano una bellissima frase di Kipling: “Se riesci, incontrando la vittoria e la sconfitta, a trattare questi due impostori allo stesso modo, sarai un uomo figlio mio…”. Esultare per la vittoria nelle amministrative 2022 non è saggio. Non si può infatti parlare di vittoria quando il 58% degli elettori non è andato a votare (al primo turno furono il 48%). È un po’ come dire che si è vinto quando invece è l’avversario che non si è presentato. Vuol dire anche non capire che quel 50 per cento – facendo più o meno una media – di disertori delle urne sono un grosso problema. Nella migliore delle ipotesi perché sono un pessimo segnale per la democrazia. Nella peggiore perché possono sempre trovare un pifferaio magico in possesso di qualche ricetta facile contro l’inflazione, il caro energia e tutto quello che si sta portando dietro l’assurda guerra di Putin all’Ucraina.
Detto tutto questo, Enrico Letta ha fatto bene la scorsa notte a rivendicare la vittoria in sette città capoluogo su 13 e per aver strappato al centrodestra città simbolo di questa contesa come Verona, Catanzaro, Piacenza, persino Monza che dopo il primo turno sembrava già in tasca al centrodestra grazie anche alla promozione in serie A by Berlusconi e Galliani. “Hanno vinto la coerenza e l’unità del Pd e del centrosinistra” ha rivendicato il segretario dem. Che ha fatto a dare un po’ la carica ai territori per l’ottimo lavoro svolto pancia a terra e porta a porta. Ma sa bene che la situazione è in piena evoluzione. A Verona l’ex calciatore Damiano Tommasi è riuscito a strappare al centrodestra una città che Tosi e Sboarina hanno governato per quindici anni. “Abbiamo vinto senza insulti, lasciando fuori le logiche romane e dimostrando di voler governare il territorio” ha detto il neosindaco, amatissimo centrocampista della Roma. “Progetti giusti, un candidato autorevole, così il Pd ha saputo tenere insieme le forze e vincere” racconta Alessia Rotta, presidente della Commissione ambiente della Camera e requisita per un mese e mezzo a Verona, sua città, per battere il territorio per il candidato Tommasi. Catanzaro, Piacenza, Monza, Lodi, vittorie con storie simili: candidati convincenti, progetti semplici, fiducia, unità, aggregare.
Il punto è che, ancora una volta, queste amministrative sono state più perse dal centrodestra che vinte dal Pd e dal campo largo di Letta. Come era già successo a ottobre quando il centrodestra non riuscì a scegliere un solo candidato sindaco. Verona è stato merito di Tommasi ma anche la prova provata che il centrodestra diviso non va da nessuna parte. E non c’è dubbio che i problemi più seri siano tutti in questa metà del campo. Lo scontro tra i due candidati di centrodestra – l’uscente Sboarina e l’ex sindaco Tosi – è un paradigma di tutto ciò che non deve succedere. Sboarina è il candidato su cui Meloni ha messo il cappello fin dall’inizio senza ascoltare le ragioni degli altri alleati. Come sta facendo per la regione Sicilia. Sboarina al ballottaggio non è riuscito a conquistare i voti dei tosiani (24% al primo turno). Che sono andati al mare o hanno addirittura votato Tommasi. A Catanzaro, città e regione governati dal centrodestra, l’arroganza della coalizione è arrivata al punto di candidare il professor Valerio Donato che è un ex Pd contro un altro professore, Valerio Fiorita, di area centrosinistra.
Perfetto esempio, si potrebbe dire, del campo largo che ha in mente Letta. Sui programmi e non sulle alleanze. Catanzaro, Monza, sono belle storie di rimonta dove appunto il centrodestra al dunque non è riuscito ad aggregare. Con la consueta autorevolezza l’istituto Cattaneo fotografa bene la situazione. L’elettorato di centrodestra “subisce perdite verso il non-voto più consistenti di quelle del centrosinistra. Una parte notevole di chi nel 2019 alle europee aveva votato M5s si disperde nel non-voto. E al Sud più frequente è il passaggio dal centrodestra al centrosinistra”. Il report – dal titolo “Come il campo largo ha vinto i ballottaggi nelle città più grandi” – riguarda quattro città: Monza, Alessandria, Parma e Catanzaro. Due i motivi alla base della vittoria del centrosinistra. Il primo: “In diverse città di dimensioni medio-grandi le diverse componenti di quell’area sono riuscite a convergere su candidati capaci, a loro volta, di raccogliere consensi trasversali”. Il secondo è che “il centrodestra si è diviso, focalizzandosi in alcuni casi su candidati troppo ‘identitari’ (Sboarina a Verona) in altri privi di una chiara identità politica (Donato a Catanzaro)”.
Da qui anche il maggiore astensionismo tra gli elettori di centrodestra che a Monza e ad Alessandria, ad esempio, ha ribaltato il risultato del primo turno. Il centrodestra può certamente esultare a Lucca dove il candidato Pardini, indietro dopo il primo turno, è invece riuscito a ribaltare la situazione al ballottaggio. Grazie però all’alleanza con Casa Pound. E questo certamente non farà piacere a Forza Italia. E neppure alla Lega. La strada per le politiche è ancora lunga. E deve fare i conti con quell’area di centro e moderata che spunta fuori nel profilo di molti neo sindaci.
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