L’inchiesta che aveva a favore tutte le forze politiche e il 99 per cento dei giornali oltre all’utilizzo della parolina magica “terrorismo” è stata ridimensionata dal Tribunale del Riesame di Bologna che ha spazzato via l’accusa di associazione sovversiva a carico di 12 anarchici, 7 dei quali finiti in carcere il 12 maggio scorso. Il gip Domenico Panza aveva semplicemente fatto copia e incolla rispetto alla richiesta di arresti datata luglio 2019 e firmata da un pubblico accusatore prestigioso il pm Stefano Dambruoso famoso nel mondo per essere finito sulla copertina della rivista americana Time anni fa come cacciatore di fondamentalisti islamici dalla procura di Milano. Ad un certo punto Dambruoso volava in Parlamento con la Scelta Civica di Monti rendendosi anche protagonista di una baruffa con una collega che lo accusava di averla picchiata. Non rieletto Dambruoso approfittava delle porte sempre girevoli tra magistratura e politica per tornare ad accusare. Sceglieva Bologna perché a Milano non poteva tornare e perché con gli ex colleghi i rapporti si erano deteriorati (eufemismo).

E arriviamo all’indagine per due antenne rotte a dicembre del 2018. Una mole enorme di intercettazioni, le immagini di manifestazioni e presidi davanti alle carceri e ai centri di detenzione per immigrati non sono bastate. Il Riesame ha impiegato 5 giorni per dare ragione agli avvocati Ettore Grenci, Daria Mosini e Mattia Maso i quali sostenevano che l’attività degli anarchici si era svolta alla luce del sole usando peraltro toni meno aspri di quelli ormai soliti presso le forze rappresentate in Parlamento. Era stato messo in discussione secondo i legali il diritto al dissenso. Anche perché nella conferenza stampa sugli arresti il 13 maggio gli inquirenti avevano parlato di operazione «nell’ambito di una strategia di tipo preventivo» al fine di evitare strumentalizzazioni nelle manifestazioni di piazza conseguenti alla crisi economica causata dal Coronavirus.

Adesso gli indagati sono liberi e solo 5 di loro hanno l’obbligo di dimora. Gli avvocati auspicano che la Procura rivaluti la vicenda riportandola nelle sue giuste dimensioni ma il ricorso in Cassazione del pm appare scontato. Il flop non è di poco conto. Il tentativo della procura era stato quello di presentare l’associazione sovversiva e la finalità di terrorismo come reati di pericolo imitando quello che aveva cercato di fare Caselli a Torino con i NoTav. Fallendo pure lui. È la vecchia storia italiana di trasformare problemi politici in ordine pubblico e processi penali. Stavolta a Bologna come a Berlino c’è un giudice.