Come il distintivo antimafia è sufficiente ad assicurare carriere e ad assolvere qualsiasi sproposito, così quello di segno opposto, lo stigma di mafiosità, basta di per sé a deprivare di qualsiasi diritto chi ne sia portatore. Il caso di Alfredo Cospito, la cui iniziativa – secondo la teoria del fronte della “fermezza” – sarebbe stata intrapresa su istigazione o per procura “dei mafiosi”, ha reso evidente e fatto trionfare a destra e a manca il pregiudizio che profondamente comanda i movimenti delle viscere antimafia: e cioè l’idea che al condannato per quel tipo di delitti debba essere perfino precluso – e a prescindere dal fatto che, nel farlo, commetta o no altri reati – di coltivare la speranza e di impegnarsi affinché sia riveduto un regime carcerario imposto da una norma ritenuta ingiusta.

Ma bisognerebbe intendersi: se i cosiddetti mafiosi dessero corso a iniziative non violente e non illecite per l’abolizione del 41bis non solo eserciterebbero un proprio diritto ma, almeno dal punto di vista di chi ritiene ingiusta e forse illegale quella norma, farebbero anche molto bene. Invece si vuole generalmente che un’ipotesi di revisione di quella disciplina sia oltraggiosa per il sol fatto che ad augurarsela sono innanzitutto quelli che la subiscono (“Un regalo alla mafia!”): come dire che non bisogna abolire la pratica della mordacchia perché l’eretico ne trarrebbe giovamento. E bisognerebbe intendersi anche oltre: non c’è infatti compatibilità, ma contraddizione, tra lo Stato di diritto liberale e lo Stato del 41bis. E se la scelta è tra chi si ostina a denegare quella contraddizione, cioè l’antimafia, e chi invece la denuncia, fosse pure il mafioso, allora noi senza riserve scegliamo quest’ultimo.

E non per inchino alla prepotenza criminale, secondo quanto alcuni invece addebitano a chiunque faccia stecca rispetto al coro della giustizia segregazionista, a chiunque contesti che il feticcio antimafia debba imperativamente essere presidiato da un dispositivo di umiliazione e degradazione: non per cedimento alla violenza del potere mafioso, dunque, staremmo dalla parte di chi contesta il 41bis pur se a militarvi fossero i mafiosi stessi, ma per non cedere alla tentazione del potere pubblico di abbandonarsi a questa violenza anche più pericolosa, e cioè l’ingiustizia perpetrata in nome del bene.