Il frontespizio “Voli di Guerra” potrebbe essere il titolo di un romanzo. La didascalia spiega che i voli in cui si trovò faccia a faccia con il “nemico” sono marcati in rosso. Il nemico, evidentemente, era la Royal Air Force britannica. Durante la pausa natalizia, ho ritrovato un reperto di cui conoscevo l’esistenza ma non avevo ancora azzardato la lettura: il diario di bordo di mio nonno, pilota della Règia aeronautica militare italiana durante la Seconda guerra mondiale.

Il sergente maggiore Domenico, classe 1917, fece tutto il conflitto in servizio attivo. Il teatro di guerra, principalmente l’alto Tirreno tra la Sardegna e la Corsica. Il diario è una lista fitta e asettica di missioni, ricognizioni, scorte. Vengono citati i compagni di viaggio, tra quegli oltre 6mila piloti che come lui furono ingaggiati durante le ostilità. Vengono contate le ore effettive di guerra; decine, centinaia di decolli affrontati con l’incognita di non rientrare. Sono descritti gli attacchi al nemico: una volta un sommergibile, una volta uno stormo di “4 apparecchi” che, si precisa, furono “abbattuti”. I voli si interrompono nella seconda metà del 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre; il diario si chiude precisamente l’8 maggio 1945, il giorno della resa incondizionata della Germania nazista. Dopo la guerra, Domenico fu parcheggiato dietro una scrivania a Roma e andò rapidamente in prepensionamento.

Il giornalista Gianni Rocca scrisse tempo fa un saggio sulla nostra aeronautica militare durante la guerra. Il titolo, “I Disperati”, dice molto della carenza di mezzi e preparazione con la quale il regime gettò nella mischia questi giovani – spesso giovanissimi – che la narrazione fascista decorava come eroi, ma che in realtà furono ben presto poco più che carne da macello. Mio nonno parlava pochissimo e malvolentieri della guerra. Le rare volte che lo faceva, accennava ai micidiali Spitfire della RAF inglese che provava a centrare (e che io sappia centrarono lui almeno una volta). Se effettivamente ne abbatté 4, come dice il diario, era vicino a essere un asso dell’aviazione. Ma non credo si sentisse tale. Malcelato dietro l’esuberanza, aveva un male di vivere che attribuivo a quei 5 anni nei quali un regime senza cervello lo fece sentire al centro della Storia per poi lasciarlo alla deriva.

Già, la Storia. Leggendo quel diario ho immaginato l’ipotesi di un finale diverso, nel quale il nonno fosse tornato dalla guerra da vincitore e non da vinto. Non pensavo ovviamente a un’ucronia tipo Fatherland di Robert Harris, nella quale il nazifascismo trionfa e domina tutta l’Europa. Pensavo piuttosto a una storia alternativa delle vicende umane. Oscar Farinetti, per esempio, ha dichiarato di essere stato fortunato a nascere figlio di un partigiano. Ecco, mi interrogo ogni tanto su cosa sarebbe cambiato se mio nonno fosse stato dalla parte giusta della storia. Se avesse guardato dentro al cuore di tenebra del regime e lo avesse disertato, resistito e infine sconfitto. Non saprò mai se per convinzione, bisogno, inerzia o viltà combatté dalla parte sbagliata. Non saprò se fosse un invasato che obbediva agli ordini o un pentito con la coscienza tormentata da rimorsi. Quasi certamente fu un uomo disilluso, consapevole di essere stato tradito da valori messi al servizio di una causa fallimentare.

Questa alla fine è la Storia con la S maiuscola. Perché si ripete senza soluzione di continuità, di generazione in generazione, oggi in Ucraina e in Medio Oriente come in tutte le guerre in ogni angolo del pianeta. Senza qualunquismi e senza equivalenze morali, ogni guerra ha un finale con uomini e donne, reduci e partigiani, militari e civili, vittime e carnefici. È “uno scandalo che dura da 10mila anni” perché, scriveva Elsa Morante, “il Potere […] è degradante per chi lo subisce, per chi lo esercita e per chi lo amministra”. È sempre la stessa Storia, ma sembra non entrarci in testa. In questo nuovo anno che comincia – ancora una volta all’insegna della guerra – l’augurio è almeno di provare a ricordarla con il rispetto dovuto: nel dibattito pubblico, nelle riflessioni e nelle decisioni che verranno prese per la pace.