Silvia Albano, giudice civile del Tribunale di Roma, sarà, salvo imprevisti dell’ultima ora, il nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati. La nomina è prevista domani in Cassazione nella prima riunione del rinnovato Comitato direttivo centrale dell’Anm, il “parlamentino” delle toghe. L’endorsement nei confronti della magistrata è arrivato questa settimana dai piani alti di largo Fochetti con un lungo articolo pubblicato su Repubblica.it. L’investitura di Albano, toga storica di Magistratura democratica, viene presentata dal quotidiano romano nel segno delle donne: dopo la Corte Costituzionale con Marta Cartabia, l’Avvocatura dello Stato con Gabriella Palmieri Sandulli, il Consiglio nazionale forense con Maria Masi, la Cassazione con Margherita Cassano, l’Anm è l’ultimo baluardo ancora nelle mani degli uomini. Un retaggio decisamente superato dai numeri. Le donne sono da anni maggioranza in magistratura: 5.308 su un organico di 9.787 toghe. Molte di loro, oltre alla citata Cassano, sono anche ai vertici di importanti uffici giudiziari.

Ad essere penalizzato dell’elezione di Albano sarebbe il pm milanese Luca Poniz, presidente uscente dell’Anm e magistrato più votato all’ultima tornata elettorale. Poniz, anch’egli esponente di Md, aveva deciso di ricandidarsi all’Anm, precludendosi così la possibilità di concorrere fra due anni, eventualmente, per il Csm. Lo statuto dell’Anm vieta, infatti, il passaggio senza soluzione di continuità dall’associazione all’organo di autogoverno delle toghe. L’appoggio di Repubblica, quotidiano da sempre vicino agli ambienti progressisti della magistratura, è un viatico molto importante per la giudice Albano. Va detto, però, che la diretta interessata aveva in qualche modo avanzato la propria candidatura con un lungo post giorni addietro su Questione giustizia, la rivista di Md, dal titolo: “L’Anm davanti alla sfida dell’unità”. Nel suo articolo aveva ripercorso quanto accaduto dopo lo scoppio lo scorso anno del Palamaragate, sottolineando la necessità di ricostruire la “fiducia” nell’associazionismo giudiziario.

Albano, comunque, non sarebbe la prima donna a ricoprire l’incarico di presidente dell’Anm. Prima di lei tale onore toccò, dal 1994 al 1995, ad un’altra toga di Md, Elena Paciotti, successivamente eletta al Parlamento europeo con i Ds. Di Albano si ricordano, in particolare, le battaglie contro i decreti Salvini, la legge Pillon, e quella sulla riforma degli uffici della giustizia minorile. Già componente della giunta uscente dell’Anm, aveva chiesto che venisse messa in votazione l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla gestione del fenomeno migratorio da parte del governo. Nessun problema sul fronte dei voti. A suo favore, oltre alle toghe progressiste, gli ex centristi di Unicost che hanno da tempo archiviato il loro padre-padrone, il signore delle nomine Luca Palamara, e gli ex “davighiani” di Autonomia&indipendenza, da qualche settimana orfani del loro fondatore, Piercamillo Davigo, andato in pensione per raggiunti limiti di età. Incertezza su cosa farà Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe, secondo molti ancora “teleguidata” dal magistrato Cosimo Ferri, parlamentare di Italia viva, per anni leader indiscusso del gruppo e di cui è in corso il procedimento disciplinare al Csm.

Sul nome della giudice Albano i maldi pancia in Mi sono numerosi. Nel Palamaragate erano coinvolti diversi magistrati di Mi ed Albano, all’epoca, aveva usato parole dure nei loro confronti chiedendo a tutti “discontinuità”. Il primo a farne le spese era stato il giudice Pasquale Grasso, presidente dell’Anm in quota Mi, sfiduciato proprio per questo motivo. Le toghe di destra temono poi, in caso di un voto pro Albano, di dover archiviare le storiche rivendicazioni “sindacali” per lasciare il passo ad una gestione più “politica” dell’associazione. Non voteranno Albano e rimarranno all’opposizione le toghe di Articolo 101, il gruppo che si batte contro la deriva correntizia. Albano ha già manifestato la contrarietà ad ogni ipotesi di sorteggio dei componenti del Csm e di rotazione dei vertici degli uffici giudiziari, i due cavalli di battaglia di Articolo 101.