In Italia, quando si pensa a due o più insegnanti uniti per uno scopo, il pensiero corre sempre e solo al sindacato e alle sue innumerevoli class action; ci si associa per tutele e diritti, quasi mai per sviluppare la professionalità. Per fortuna non c’è solo il sindacato, ma anche un fertile associazionismo, che però ha almeno due problemi. Il primo è la visibilità: molti, soprattutto i docenti più giovani, non ne conoscono neppure l’esistenza. Il secondo, più drammatico, è che non se ne sente l’esigenza, o meglio, non si fa neppure l’ipotesi che possa servire.

Di fatto il mestiere dell’insegnante, al contrario di ciò che può apparire all’esterno, è spesso vissuto in una dimensione individuale. Ciascuno è in rapporto quasi solo con i propri studenti, la dinamica relazionale tra colleghi si riduce ai momenti formali e reciproche pressioni burocratiche. “La scuola di oggi ha sostanzialmente due malattie – dice Eugenio Dario Nicoli, sociologo del lavoro all’Università Cattolica di Brescia – e sono ansia e burocrazia”.

Quale antidoto? Per l’associazione Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica) è l’idea di un’amicizia operativa, e cooperativa, tra docenti. Proprio per questo, tra il 26 e il 27 ottobre, centinaia di loro si muoveranno da tutta Italia in direzione di Castel di San Pietro Terme (Bologna), dove si terrà l’annuale convention nazionale dell’associazione dal titolo “Nella scuola, costruire luoghi di educazione”.

E’ un sacrificio che sorprende, in relazione al diffuso burnout da formazione scolastica, percepita sempre più spesso come inutile e imposta. La due giorni prevede convegni e seminari con ospiti di rilevo nazionale, come la professoressa Loredana Perla, docente di Didattica e pedagogia speciale a Bari, coordinatrice della Commissione a cui Valditara ha affidato la revisione delle Indicazioni Nazionali; l’esperto di tecnologie Daniele Barca, tra gli estensori del Piano Nazionale Scuola Digitale; il filosofo e intellettuale cattolico Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale a Perugia; il Professore di Pedagogia Marcello Tempesta, la pedagogista Nicoletta Sanese.

Oltre ai momenti comuni, ci saranno workshop e momenti seminariali, in cui i docenti potranno operare insieme con momenti di riflessione e pratica laboratoriale (i momenti formativi annuali dell’associazione si chiamano, non per caso, “Botteghe dell’insegnare”).

Anche nella convention, come in altri momenti della vita dell’associazione, si metterà al centro la parola magica: professionalità. Non viene facile associarla a un carrozzone di centinaia di migliaia di impiegati pagati tutto allo stesso modo (con progressioni stipendiali legate solo all’anzianità), ma c’è chi lotta per costruirla, approfondirla, modellarla nel tempo.

A Nicoli, tra gli esperti che supportano l’associazione nel suo percorso di riflessione, abbiamo chiesto cosa si debba intendere per “luogo di educazione”. “E’ anzitutto un luogo che va protetto dalla burocrazia e dall’ansia, dove sia possibile sviluppare una relazione di amicizia e compagnia naturale (cioè non mediata da obblighi e formalismi), di stima e di aiuto reciproco tra colleghi, a partire da esigenze concrete: prima tra tutte quella di costruire insieme una professionalità. L’immagine di Diesse è quella di una scuola che non si lagna, ma immagina la scuola come uno spazio di ricerca comune tra colleghi, capace di associare a quel cammino di ricerca anche i ragazzi. E’ l’antidoto all’idea di un sapere bello e fatto, inscatolato, ma costantemente messo in gioco come un cammino di ricerca”.

Per Carlo Di Michele, dirigente scolastico e attuale presidente di Diesse, la scuola deve essere “un luogo di relazioni educative significative, e questo avviene innanzi tutto nell’insegnamento, cioè nella relazione tra insegnanti e studenti, ma anche attraverso i rapporti degli insegnanti con le famiglie e le realtà sociali”.

Per il professor Fabrizio Foschi, per anni presidente dell’associazione, “la professionalità si lega anche al tema del riconoscimento sociale ed economico, e non come mera questione populistica, ma affinché la professione non sia appiattita sulla dimensione impiegatizia o tutoriale, che pare il rischio di questi ultimi anni. L’insegnante è vocato a una comunicazione di sé, ma ha anche una funzione pubblica, inevitabile, perché di fatto è inserito in una rete di legami con l’ambiente che devono essere continuamente giudicati, semplicemente perché cambiano, e cioè cambia la realtà, cambia il ministro, c’è la guerra e la pace, cambia la composizione etnica degli studenti. Per questo il docente è chiamato sempre a ricalibrare il proprio messaggio comunicativo. Ciò fa di lui un continuo ricercatore di modalità, di metodi e di forme. L’insegnante non è mai soddisfatto, è un continuo modificatore di forme: l’insegnante è uno che non si ripete”.