Le urne si sono chiuse domenica sera e in questi giorni si discute degli esiti del voto. Un dato, tra i tanti, colpisce e riguarda un aspetto che ruota attorno al mondo della giustizia, e dell’antimafia in particolare. Un mondo che non ha avuto spazio nei programmi politici dei partiti durante la campagna elettorale e al momento del voto non ha avuto riscontri nelle preferenze degli elettori. Qual è la causa e quale l’effetto?

Chissà se i candidati icone dell’antimafia sono stati trombati perché di giustizia si è parlato poco nei programmi dei partiti, oppure perché non convincono più il popolo degli elettori. Delle due l’una, o forse entrambe. Da tempo, del resto, ci si interroga sull’antimafia come risorsa politica o canale per arrivare a ricoprire cariche istituzionali. Un dibattito aperto che si presta a più riflessioni e si aggiunge al clima di sfiducia che i cittadini da tempo manifestano nei confronti della giustizia, della magistratura, della gestione della sicurezza e della tutela dei diritti.

In Campania dalle ultime elezioni arriva questo risultato: con l’eccezione di Federico Cafiero De Raho, ex procuratore della direzione nazionale antimafia eletto alla Camera con i 5 Stelle dopo una candidatura in un certo senso blindata da Conte, gli altri candidati provenienti dal mondo dell’antimafia campano non sono stati eletti. Non ce l’ha fatta Paolo Siani, fratello del giornalista Giancarlo ucciso dalla camorra nel 1985 e già deputato del Partito democratico: nonostante il suo lodevole impegno di questi anni su temi delicati come l’infanzia, soprattutto a favore della realizzazione di asili nido e in particolare anche a favore di una legge per evitare bambini in cella con le mamme detenute, è stato penalizzato dall’essere stato candidato dal suo partito in un collegio territorialmente lontano dalla sua storia e dal suo impegno, Acerra.

Non va a Roma Sandro Ruotolo, giornalista che si era candidato alla Camera nel collegio uninominale di Torre del Greco nelle fila del centrosinistra: si è fermato a poco più del 21% di preferenze, dopo una campagna elettorale in cui non sono mancate polemiche per alcune sue esternazioni e commenti critici, persino minatori, nei confronti della sua persona. Insomma, un personaggio che non piace a tutti. Infine, tra i non eletti c’è Dario Vassallo, il fratello del sindaco di Pollica Angelo assassinato nel 2010: candidato con i 5 Stelle nel collegio uninominale di Eboli si è fermato anche lui a quota 21,10%. «Ora è il momento di riflettere», dicono i non eletti.

Una riflessione, pensiamo, andrebbe fatta a tutto tondo, quindi andando oltre le vicende dei singoli e ragionando sul fenomeno in generale e in senso più ampio. Forse è il momento di fare un ragionamento in più anche sul significato che ha oggi fare antimafia. Il Paese vive un momento storico particolarmente difficile, c’è bisogno di preferire agli slogan la concretezza, alle promesse i fatti. L’antimafia, forse, andrebbe meno sbandierata e più praticata. Abbinarla a logiche di partito o rischiare che diventi una vetrina per fare carriera o ottenere ruoli istituzionali non è fare lotta alla mafia. Nei territori come quelli campani schiacciati da una diffusa povertà e da un alto livello di degrado e delinquenza c’è bisogno che l’antimafia non diventi potere o terreno di scontro politico ma forza sociale, più che un brand una realtà concreta e palpabile e all’esclusivo servizio della gente, del territorio, della legalità.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).