Intervista a Noemi Di Segni
Antisemitismo, odio che non colpisce solo gli ebrei

«Quante volte abbiamo ripetuto “mai più”, riferendoci alla tragedia della Shoah. Ma quel “mai più” rischia di diventare un’affermazione retorica se poi non c’è un sussulto d’indignazione di fronte a scritte vergognose come quella di Mondovì o all’antisemitismo imperante sui social. Juden hier non è solo uno sfregio alla memoria di quanti sono morti nei campi di sterminio e di chi, come Lidia Rolfi, ha combattuto il nazifascismo finendo deportata a Ravensbruck nel 1944; quella frase è uno sfregio per una intera comunità nazionale e per le sue istituzioni democratiche. L’antisemitismo, col carico di odio verso il “diverso”, non è un problema degli ebrei, è un virus che mina le fondamenta stesse di una società democratica». A sostenerlo in questa intervista a Il Riformista, è Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei).
Juden hier, “qui ci sono gli ebrei”, è la scritta comparsa la notte scorsa sulla porta di casa di Aldo Rolfi, figlio di Lidia, partigiana deportata a Ravensbruck. Quali sono i sentimenti che accompagnano questo sfregio?
Indignazione, rabbia, dolore ma anche, e per certi versi soprattutto, la consapevolezza che l’antisemitismo non appartiene alla Storia ma è qualcosa che fa parte del nostro presente e che minaccia il nostro futuro. Il futuro di una comunità nazionale che si vuole democratica. Quella scritta ignobile, apparsa alla vigilia della Giornata della Memoria, dovrebbe servire da monito: tante volte, soprattutto nelle cerimonie istituzionali, si ripete il monito “mai più”. Ma quel “mai più” non può essere un esercizio retorico, non può essere solo il dovuto tributo alla memoria dei milioni di ebrei morti nei lager nazifascisti. Quel “mai più” deve essere un impegno che riguarda la nostra quotidianità, che deve investire le scuole, i mezzi di comunicazione. Contro questi seminatori di odio occorre condurre una grande battaglia culturale. Quel “mai più” non deve riguardare solo Auschwitz, perché i campi di sterminio sono il terminale di una campagna di odio che si nutre di atti quotidiani che ieri come oggi vengono sottovalutati. Quella scritta è l’evidenza dell’avvitamento che si registra su questi fatti, è un altro atto che genera quel senso di indecisione. Il nostro tormento oggi è proprio l’indecisione nel decifrare, da parte di tanti, questi gesti: quanto si sta prima o dopo quel filo rosso, quel confine, dell’allarme. Vede, in questi anni, abbiamo faticosamente lavorato con tante istituzioni, nazionali e locali, per far sì che il riconoscimento di un luogo dove era vissuto un ebreo che, come Lidia Rolfi, ha combattuto per la libertà, fosse un gesto positivo, un arricchimento per l’intera comunità. Ma gli autori di quella scritta ci dicono che la strada è ancora lunga… E che l’antisemitismo è un problema di tutta la società, e la Shoah, preceduta in Italia dalla vergogna delle leggi razziali, chiama in causa non solo i carnefici ma i tanti indifferenti. Dietro a quelle odiose leggi non c’era solo una idea di ‘“purezza” della razza che reclamava la emarginazione prima e la persecuzione subito dopo degli “impuri”. Dietro quelle leggi c’era anche l’idea di fondare una coesione nazionale additando negli Ebrei coloro che quella coesione minacciavano: stiamo parlando di una comunità che rappresentava l’1% della popolazione totale! Una minoranza additata come il Male assoluto, cancellato il quale, non importa con quali mezzi, l’Italia e gli italiani “perfetti” avrebbero ripreso la loro marcia trionfale. I tempi son cambiati, certo, ma l’antisemitismo non è stato estirpato una volta per tutte.
Come si manifesta oggi l’antisemitismo, e c’è una forma più pericolosa delle altre?
Le forme sono molteplici e vanno conosciute e combattute con il medesimo impegno. C’è l’antisemitismo dell’estrema destra, ma c’è anche un antisemitismo che si cela dietro l’antisionismo e l’odio verso Israele al quale vengono attribuiti comportamenti nazisti.
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