Mio figlio l’hanno lasciato morire, non e’ la prima volta che succede e non deve più accadere”. Sono le parole, rotte da emozione e rabbia, pronunciate da Rosalia Federico, madre di Antonio Raddi, il ragazzo di 28 anni detenuto al carcere delle Vallette di Torino morto il 30 dicembre di due anni fa per sepsi, 17 giorni dopo essere entrato in coma.

Una storia dalle tante ombre secondo la famiglia, che chiede che il caso non venga archiviato dal Gip, come richiesto nei giorni scorsi dalla Procura di Torino che aveva aperto un fascicolo per omicidio colposo.

Come ricordato dal legale della famiglia Raddi, Gianluca Vitale, la Procura di Torino ha disposto una prima consulenza medico-legale “che si è chiusa con l’affermazione ‘Antonio e’ morto perché doveva morire’“.

Quindi l’incidente probatorio chiesto dal pm titolare del caso è stato negato dal gip, seguito da una seconda consulenza in cui vi era scritto che il progressivo calo di peso “avrebbe dovuto essere contrastato diversamente, anche con l’ausilio di approfondimenti clinico-specialistici e di laboratorio”.

Antonio, è l’accusa dell’avvocato Vitale, “è stato accusato di non mangiare perché sperava di essere scarcerato, ma in realtà non riusciva più ad alimentarsi. Antonio è  morto per un’infezione da batterio, che se contratta in condizioni diverse, senza una perdita di peso significativa, forse avrebbe potuto superare”.

LA STORIA DI ANTONIO – Antonio è morto all’ospedale Maria Vittoria di Torino, dove era arrivato in condizioni disperate e sopratutto dopo aver perso 30 chili in pochi mesi di reclusione, entrando alle Vallete col peso di 80 chili e uscendone praticamente cadavere facendo segnare sulla bilancia 50 chili. 

La sua storia la racconta in una conferenza stampa tenuta oggi, a due anni dal decesso, la Garante dei detenuti di Torino Monica Gallo, che ha seguito personalmente il caso: “Antonio entra in carcere il 28 aprile 2019 e già il 15 luglio il padre esprime grande preoccupazione per un evidente dimagrimento. Ad agosto dall’Asl mi dicono che non c’è alcuna criticità, ma a settembre le condizioni peggiorano. Il 3 dicembre chiedo allora un ricovero urgente. Antonio è in sedia a rotelle, ha le labbra viola, quando lo incontro mi dice che non riesce a mangiare e vomita sangue“. 

Il 10 dicembre – prosegue la garante Gallo – Antonio viene ricoverato con urgenza all’ospedale Maria Vittoria, ma il giorno dopo riceviamo una rassicurazione dall’Asl e dalla direzione del carcere, dicono che la situazione è sotto controllo. Visitiamo ancora il ragazzo ma sta sempre peggio. Il 12 dicembre il Garante nazionale spiega che va assolutamente ricoverato, ma ormai è troppo tardi. Il 13 dicembre Antonio entra in coma e ci resta fino al 30 dello stesso mese, quando morirà per un’infezione”.

L’APPELLO DELLA FAMIGLIA – Il padre di Antonio, Mario Raddi, spiega quindi che il figlio “non ha mai fatto uno sciopero della fame”, semplicemente “in carcere non gli è mai stato proposto di andare in un reparto sanitario. Dopo l’ultimo ricovero, il primario di Rianimazione del Maria Vittoria ci ha chiamati in ufficio e ci ha detto che in quarant’anni di servizio non aveva mai visto nulla di simile. In quei diciassette giorni di coma, funzionavano solo cuore e cervello, gli altri organi erano tutti compromessi”.

Mario Raddi racconta anche un episodio che fa ben capire le condizioni in cui è morto il figlio: “Gli operatori delle onoranze funebri non sono neppure riusciti a vestirlo, così lo hanno avvolto in un lenzuolo bianco”.

Anche da parte sua l’appello è quello di ottenere la verità sulla morte del figlio 28enne, finito in carcere per condanne per rapine, maltrattamenti ed evasione. ”Speriamo che si dica come sono davvero andate le cose, senza falsità. Antonio stava male da mesi, beveva caffè e fumava tantissimo, l’acqua gli procurava dei fortissimi mal di stomaco. Un ragazzo detenuto con Antonio ci ha detto che l’intera sezione del carcere quando mio figlio stava male, ha protestato affinché lo curassero, ma nessuno li ha ascoltati. Io non potevo fare nulla eppure lui me l’aveva detto ‘papa’ fammi uscire che mi fanno morire qui dentro“.

Avatar photo

Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia