Nessuno avrebbe immaginato che un giorno Antonio Tajani sarebbe diventato un leader. «Forse nemmeno lui» scherza un amico che lo conosce dai tempi del Giornale. La sua forza? «Essere consapevole dei propri limiti». Il suo pregio? «Essere stato al fianco del Cavaliere e non averlo tradito. E soprattutto non avere mai pensato di farlo fuori, come hanno solo ipotizzato altri». Non è certo una bestemmia dire che Tajani sia il sottovalutato della politica italiana. Basta vedere il curriculum che a differenza di altri è vasto: cinque volte eurodeputato, presidente del Parlamento europeo, commissario europeo per l’Industria e per i Trasporti, vicepresidente della Commissione europea. Può bastare?

Il ragazzo cresciuto ai Parioli, che ha frequentato il Tasso negli anni degli scontri tra la destra e la sinistra non nascondendo le posizioni monarchiche, ne ha fatta di strada. Una laurea in legge alla Sapienza e poi ecco il giornalismo. La passione è sempre stata la politica, non a caso si distingue al Giornale di Indro Montanelli come cronista parlamentare: «Aveva le notizie». Al punto che un giorno in Transatlantico riceve due schiaffi dal missino Alfredo Pazzaglia per avere scritto un articolo dal «sapore democristiano». A proposito spiffera un ex collega: «Con Indro c’era un’assonanza monarchica».

Dentro al Giornale fa tutta la gavetta: da redattore a capo della redazione romana. L’affidabilità, prima di tutto. Silvio Berlusconi lo vuole con sé nei giorni della fondazione di Forza Italia. E lo nomina suo portavoce a Palazzo Chigi. Pochi mesi e lo candida alle europee. All’epoca venne considerata una diminutio. Perché a Strasburgo «si spedivano le seconde linee». E invece, racconta un amico di Tajani, «quella è stata la sua grande fortuna». Il sottovalutato della politica italiana – sempre consapevole dei propri limiti – ha costruito la sua carriera tra Strasburgo e Bruxelles. «Non c’è eurodeputato che non conosce Tajani, non c’è dirigente degli uffici di Strasburgo che non abbia parlato almeno una volta con Antonio, non c’è leader europeo con cui non si scambia affettuosi messaggi».

Adesso però c’è una novità, un passo in avanti: il sottovalutato si è fatto leader. Basta vedere quello che è successo in queste ore sul Superbonus. Raccontano che appena ha visto l’emendamento del governo – voluto fortemente dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – non si è infuriato ma ha semplicemente fatto come avrebbe fatto un Andreotti o un Forlani: «Giancarlo, voglio solo vederci chiaro. Perché non siamo stati coinvolti? Ti pongo solo una questione giuridica: non esistono norme retroattive. Direi che sia il caso di rivedere tutto e di confrontarci». Antonio si muove da numero uno consapevole di essere, al momento, un numero due.

La premier lo ascolta ma allo stesso tempo ne diffida. E la ragione è legata a una questione molto semplice: Tajani è l’unico esponente dell’esecutivo che ha un rapporto vero e sincero con il Capo dello Stato Sergio Mattarella. I colloqui tra l’inquilino del Colle e il vicepremier sono frequenti anche perché Mattarella confida molto nel moderatismo tajaneo. Senza dimenticare il capitolo Europa. Il ministro degli Esteri è uno dei leader del Ppe, il partito diga di Strasburgo. In sintesi, «Meloni senza Tajani rischia di non toccare palla da quelle parti». E lo si è visto anche in queste ore. Ursula Von der Layen, presidente della commissione Ue, in visita a Roma ha voluto incontrare «l’amico Antonio» ma non la presidente del Consiglio. Una casualità? Non si direbbe. Nulla è casuale quando c’è di mezzo Tajani.

Quando il 12 giugno dello scorso anno scompare il Cavaliere nessuno avrebbe scommesso sulla leadership di Tajani. In tanti sostenevano che nel giro di pochi mesi Forza Italia sarebbe stata liquidata e che i vari parlamentari si sarebbero divisi tra Fratelli d’Italia e Lega. A distanza di quasi un anno il partito fondato dal Cavaliere veleggia attorno al 10%. «Antonio è stato abile nel silenziare le correnti interne e nel farsi apprezzare in questi mesi dagli eredi della famiglia Berlusconi». Cosa vuole fare da grande, a questo punto?

Mancano poche caselle all’appello: la presidenza del Consiglio e la presidenza della Repubblica. La prima al momento sembra lontana, perché la leadership di Meloni sembra inscalfibile. Il Quirinale, come si sa, è un terno a lotta ma «resta il più quirinalibile nell’attuale destra italiana». Tajani ha la dote della pazienza. Attende. Non ha fretta. La vita gli ha dato tanto. Racconta un suo vecchio amico: «Se nel 1994 gli avessero detto: “Caro Antonio, un giorno diventerai il leader di Forza Italia”, non ci avrebbe creduto. Figurarsi vicepresidente del consiglio, ministro degli Esteri e leader dei Popolari europei…». Tutto è possibile, insomma.

Federico Rinaldi

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