Antonio Tajani, un monarchico che vorrebbe andare a fare il Presidente della Repubblica, contro cui avrebbe votato (se avesse potuto farlo) nel drammatico referendum in cui la monarchia uscì sconfitta. Come se Jack lo Squartatore si candidasse a gestire una casa famiglia. Sembra un paradosso eclatante, e invece è il sogno del Ministro degli Esteri, che come tale ha già giurato su una Costituzione repubblicana che – fosse stato per lui – non sarebbe esistita o sarebbe quanto meno stata molto diversa da quella che conosciamo, o dovremmo conoscere, tutti. È un sogno, quello di Antonio Tajani, che solo uomini o nazioni dalla memoria corta possono non liquidare con una risata.

Un sogno dichiarato più volte ai suoi fedelissimi nel partito (che sono pochi, giacche’ Tajani non gode di grande seguito in Forza Italia, e questo per due ragioni: la prima è che dopo aver perso il collegio uninominale alle Politiche del 1994 che segnarono il trionfo lampo di Silvio Berlusconi, capace invece di battere a Roma Centro, enclave storica e blindata della sinistra, Luigi Spaventa, venne spedito in Europa e quindi allontanato dal palcoscenico nazionale; la seconda è che nessuno lo ha mai visto brillante o carismatico, tantomeno empatico – anche se il nostro direttore responsabile dice che bisogna saperlo prendere e che in realtà quando parla di Juventus si accende – e lo confermano tutte le elezioni da lui gestite, ma anche tutti i dati di ascolto delle trasmissioni cui prende grigiamente parte, che tracollano negli ascolti manco ci fosse la pubblicità). Un sogno che secondo diversi parlamentari di Forza Italia di oggi, ma presenti anche nella scorsa legislatura, Antonio Tajani avrebbe già tentato con insuccesso di coronare a gennaio 2022, quando – ufficialmente – il candidato del centrodestra al Quirinale avrebbe invece dovuto essere Silvio Berlusconi.

Nella drammatica fase che poi portò alla rielezione di Sergio Mattarella, Tajani era incaricato assieme a Licia Ronzulli – oggi sua acerrima avversaria nel partito – di trattare anzitutto con gli alleati, parecchio riottosi, per esplorare l’approdo al Quirinale del Fondatore di Forza Italia. Tramontata questa ipotesi per sopravvenute ragioni di salute del Cavaliere, si aprì la corsa all’individuazione di un’alternativa che potesse schiudere per la prima volta il soglio quirinalizio a un esponente del centrodestra. C’era una rosa di qualche nome, tra cui quello di Elisabetta Alberti Casellati, che veniva prima di quello di Tajani, ai tempi non proprio nelle grazie di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E i parlamentari che abbiamo sentito oggi ricordano tutti che in una riunione plenaria dei gruppi azzurri, quando Tajani annunciò che la candidata da votare in Aula sarebbe stata appunto la Casellati, lo fece con un piglio talmente dimesso da sembrare funebre. Era chiaro -ricordano due deputati – che egli non gradisse minimamente la cosa, e che forse nemmeno la avrebbe appoggiata fino in fondo. Dubbio che si palesò puntualmente quando la stessa Casellati dovette procedere allo scrutinio con cui si schiantò sul dissenso del suo stesso partito, da cui spuntarono 7 voti per Tajani stesso. Tutti voti che non consentirono alla Casellati di fare il pieno di quelli di centrodestra e la costrinsero ad abdicare, tra feroci polemiche del centrodestra stesso all’indirizzo di Forza Italia. Risultato: il centrodestra uscì suonato da quel round, e Mattarella confermato.

Ma d’altronde, ogni qualvolta che Tajani ha preteso un ruolo da protagonista, per Forza Italia le cose non sono andate trionfalmente: quando si candidò nel 2001 a Sindaco di Roma contro Walter Veltroni uscente, venne piallato malgrado la Casa delle Libertà letteralmente volasse a livello nazionale. Quando alle Politiche del 2018 venne presentato da Silvio Berlusconi come premier in caso di vittoria, e il risultato fu il sorpasso storico della Lega di Salvini su Forza Italia; quando alle Europee del 2019 pretese che Silvio Berlusconi fosse capolista ovunque in Italia ma non nella sua circoscrizione del Centro, e cosi Tajani (che racimolò il 6%) causò il tracollo del movimento azzurro trascinandone la media nazionale sotto la soglia psicologica del 10%, mentre Salvini volava al 34.

Oggi, dopo aver criticato per mesi l’atteggiamento a suo dire succube dei ministri azzurri Brunetta, Gelmini e Carfagna verso Mario Draghi premier, le truppe parlamentari (sula carta zeppe di suoi fedelissimi, avendo egli fatto le liste elettorali su sua misura) gli rimproverano a sorpresa di fare lo stesso, se non peggio, verso Giorgia Meloni (“Sostiene le tesi stataliste di chi non vuole le liberalizzazioni e non si è opposto al prelievo retroattivo sugli extraprofitti”) quella Meloni che proprio Tajani, solo qualche anno fa, avversava fino a convincere Berlusconi a spaccare il centrodestra su Giorgia candidata sindaca di Roma contro l’emergente Virginia Raggi, e a sostenere Alfio Marchini: un disastro. Che poi, Tajani definisca ‘sua’ Roma, ci sta, abitandoci da anni pur non essendovi nato (è ciociaro di Ferentino) ma in Forza Italia tutti ricordano che alle scorse comunali i suoi candidati sono stati estromessi dal Consiglio Comunale e che Forza Italia sotto la regia sua, di Maurizio Gasparri e Paolo Barelli ha racimolato un deludente 3% in combutta con l’Udc. Ora, Tajani è chiamato a stendere le regole per il congresso che si è affrettato a indire non appena morto Silvio Berlusconi. Ma se non risolleva Forza Italia dagli attuali sondaggi (ipotesi su i bookmakers sono scettici) la corsa al Quirinale del Monarchico Tajani finirà prima di cominciare. Come forse è giusto che sia, vista, appunto l’origine politica antirepubblicana.

Signor Concierge

Autore