L’appello alla ministra
Appello alla Cartabia: non faccia come Bonafede, la Sorveglianza non va dimenticata
Mi sono più volte espresso sia sui ritardi di funzionamento dell’Ufficio di Sorveglianza, in termini di tempi e di efficacia delle risposte da garantire ai detenuti, sia in termini di carenza di personale, condividendo le mie preoccupazioni in tal senso, nel febbraio del 2020, attraverso una lettera indirizzata all’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
In quella mia comunicazione si evidenziava come la carenza di personale rischiasse di mettere in ginocchio il funzionamento di un settore strategico della giustizia, quello deputato all’esecuzione della pena, ben prima che emergessero le difficoltà organizzative e gestionali legate al Covid. Inoltre il continuo rinvio degli appuntamenti già calendarizzati con i responsabili dell’Ufficio di Sorveglianza e il mancato incremento del personale amministrativo e dei magistrati di sorveglianza da parte del Ministero, apparivano come una sorta di “politica dello struzzo”. Quella tanto bistrattata esecuzione della pena non interessa a nessuno, se non a parole ed esclusivamente in funzione di slogan usati per invocare la famosa certezza della pena che, in conseguenza di tale carenza di mezzi, non può essere assicurata. La polemica scatenatasi tra la Camera penale e il Tribunale di Sorveglianza di Napoli, dunque, non è di certo una novità.
Gli ultimi governi hanno mostrato opinioni divergenti circa l’operatività e l’organizzazione della giustizia. Anche l’ex presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Adriana Pangia, ha denunciato la mancanza di una risposta risolutiva da parte del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.
Quanto evidenziato dalla Camera Penale sui ritardi disfunzionali non può non essere condiviso. Circa un anno fa i numeri della sofferenza degli uffici del Tribunale di Sorveglianza erano così riassunti: mancavano il 42% del personale amministrativo a Napoli e Avellino, il 37% a Santa Maria Capua Vetere e contestualmente aumentava il carico di lavoro con 17mila procedure in più dinanzi al Tribunale e addirittura 39mila in più da evadere per il solo Ufficio di Sorveglianza. Quello che mi preoccupa, in questo caso, sono i toni polemici a discapito della qualità della pena e dell’accesso alle misure alternative alla detenzione che, a mio parere, rappresentano gli elementi fondanti del reinserimento sociale.
Non intendo rinfocolare una polemica che rischia di essere dannosa e non rendere giustizia al lavoro dei magistrati di sorveglianza e degli avvocati, ma voglio fare il punto dell’attuale situazione giudiziaria, concentrandomi sugli elementi del trattamento che per legge devono essere garantiti alle persone ristrette sulla scorta dell’ordinamento penitenziario. Nella mia relazione annuale 2020 ho evidenziato che su 1.292 colloqui effettuati con i detenuti, la prima criticità è risultata essere quella sanitaria, seguita con 601 richieste da quella relativa ai ritardi di risposta e all’impossibilità di svolgere colloqui con la Magistratura di Sorveglianza. La pandemia ha amplificato ancora di più l’emergenza della giustizia sul versante dell’esecuzione penale. In tale scenario è auspicabile ristabilire un dialogo che tenda a unire le forze in funzione del mandato istituzionale e professionale così da affrontare e superare lo scenario di paralisi che vive attualmente il pianeta carcere.
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