La richiesta
Appello dei penalisti ad Anm e Bonafede: “I magistrati che sbagliano vanno giudicati”
Pubblichiamo il documento della giunta dell’Unione delle camere penali italiane sul tema della responsabilità professionale del magistrato.
L’ennesima assoluzione di un uomo politico -come nel recentissimo caso dell’ex Presidente della Regione Calabria Oliverio – per riconosciuta insussistenza di quei fatti di reato la cui contestazione aveva però già irreversibilmente causato non solo la fine di una carriera politica, ma soprattutto – come in molti altri casi analoghi – la indebita alterazione delle dinamiche elettorali e dunque democratiche di una intera comunità territoriale, pone in modo non più eludibile la urgente necessità di mettere mano con determinazione al tema della responsabilità, ed anzi ad oggi della irresponsabilità, del magistrato nell’ordinamento giudiziario italiano.
È giunta l’ora di affrancare il tema della responsabilità del magistrato dall’inaccettabile ricatto – culturale, politico, mediatico – di chi addebita ai suoi propugnatori, tra cui da sempre ed in prima linea l’Unione delle Camere Penali Italiane, l’indegno proposito di condizionare l’esercizio della giurisdizione e l’indipendenza della magistratura.
È vero l’esatto contrario. La credibilità della giurisdizione è vulnerata agli occhi dei cittadini esattamente dal sempre più frequente spettacolo di indagini che prima travolgono vite private e pubbliche, carriere politiche, equilibri democratici di governi nazionali e locali, per non dire di attività economiche ed imprenditoriali, e poi, a distanza di anni ed ormai inutilmente, vengono riconosciute da giudici seri ed indipendenti come del tutto infondate, senza che nessuno sia chiamato a renderne conto in alcun modo. Ed anzi, siamo tutti chiamati ad assistere, attoniti, alle inarrestabili carriere ed alle imperturbabili celebrazioni ed autocelebrazioni mediatiche di magistrati che annoverano, come le implacabili statistiche raccontano senza appello, un numero di fallimenti delle proprie inchieste che sancirebbero esiti certamente pregiudizievoli in qualsivoglia altra attività professionale.
È del tutto ovvio che il tema non si pone ogni qual volta un’accusa venga smentita da una assoluzione, la qual cosa rientra, salvo non sia abituale o statisticamente preponderante nel singolo curriculum professionale, nella normale dialettica processuale e nella fisiologica fallibilità del giudizio umano, non interrogando perciò la qualità professionale di alcuno; ma si pone con riguardo a quelle indagini – ed ai provvedimenti giurisdizionali che le hanno acriticamente assecondate – che siano connotate ab origine da quei profili di “accanimento investigativo” o di “incongruità logica” che lo stesso giudice, di merito o di legittimità, abbia ritenuto doveroso evidenziare e stigmatizzare nel giudizio assolutorio, quando non addirittura già nella fase cautelare.
Solo chi vive fuori dal mondo, o peggio ancora rivendica con arroganza la propria impunità, può non comprendere le devastanti conseguenze per la credibilità della giurisdizione agli occhi di una pubblica opinione che assiste a questo esercizio di una funzione non responsabile dei propri atti, nello stesso momento in cui vede quotidianamente sanzionate dagli stessi giudici – come è giusto che sia – carriere professionali di medici per interventi errati, di ingegneri per ponti mal costruiti, di avvocati per patrocini infedeli, di imprenditori per patrimoni dissipati. Solo una politica ridotta ad una funzione ancillare non della magistratura, ma di alcune Procure ed anzi di alcuni Procuratori della Repubblica, intimorita e resa imbelle dal ricatto politico-mediatico che iscrive tra i favoreggiatori della criminalità comune e politica chiunque ponga il problema della responsabilità del magistrato, può ostinarsi a non comprendere come una democrazia nella quale dei tre poteri su cui essa si fonda, uno e solo uno è irresponsabile, è destinata alla rovina.
Ma se il tema della responsabilità civile del magistrato, con i suoi indubbi profili di complessità e delicatezza, deve certamente essere rilanciato nel dibattito politico ed accademico, ciò che si può e si deve fare subito per restituire credibilità ed autorevolezza alla giurisdizione è riproporre con forza, già oggi in sede di progetto di riforma dell’ordinamento Giudiziario, il tema della responsabilità professionale del magistrato. Occorre infatti porre immediatamente rimedio a questo scandalo nostrano, non a caso unico al mondo, per il quale la carriera dei magistrati italiani progredisce automaticamente (il 99% delle c.d. “valutazioni di professionalità” sono positive), del tutto a prescindere da una valutazione di merito delle attività in concreto svolte dal singolo magistrato; uno scandalo imposto addirittura in nome della difesa della indipendenza della magistratura, qui declinata non come valore costituzionale da tutti noi condiviso e difeso, ma come inammissibile ed arrogante privilegio di impunità.
Ed all’interno del tema della responsabilità del magistrato deve essere finalmente affrontato lo specifico problema di quella del Pubblico Ministero e della sua valutazione rispetto alla carriera: la solenne e reiterata bocciatura da parte dei giudici di teoremi accusatori non può più essere spacciata per fisiologia processuale, quando essa avvenga con gravi censure all’attività investigativa e si riproponga nel tempo.
Chiediamo al nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati dott. Santalucia se egli non reputi sia giunto il momento di aprire con coraggio ed umiltà questa riflessione all’interno della magistratura associata; chiediamo al Ministro di Giustizia on. Bonafede se vi sia una plausibile ragione per la quale egli abbia ritenuto, e con lui la maggioranza di Governo, che questo inaudito privilegio professionale, impensabile per ogni altro comune cittadino, debba rimanere intatto e dunque estraneo alla indispensabile riforma dell’ordinamento Giudiziario, pur indicata come una assoluta priorità.
L’Unione delle Camere Penali Italiane intende rilanciare con forza il dibattito civile, politico ed accademico sul tema della responsabilità, innanzitutto professionale, del magistrato, nella profonda convinzione che una simile riforma, al pari di quella della separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, trovi la sua unica ragione ispiratrice nella esigenza, ormai indifferibile, di restituire forza, credibilità ed autorevolezza all’esercizio della giurisdizione nel nostro Paese.
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