Matteo Ricci, Pd, per due mandati sindaco di Pesaro, è stato eletto al Parlamento europeo per la prima volta lo scorso luglio. Ieri ha votato Sì alla mozione per il sostegno pieno all’Ucraina ma ha ritratto la mano quando si è trattato di votare l’art.8 che autorizza l’Ucraina ad utilizzare le armi consegnate dagli Stati europei per operazioni di contrattacco sul territorio russo.

Come è andato questo voto sull’Ucraina? Perché il Sì solo alla mozione generale?
«Sì, anche perché era migliore rispetto a quella che il Parlamento aveva votato a luglio. Una mozione che da una parte conferma il sostegno incondizionato all’Ucraina, per difendere il suo Paese, il suo popolo e la sua democrazia. Dall’altro però recepisce alcune parti molto importanti sulla pace, con un lavoro molto importante fatto dalla delegazione del Pd italiana e in particolar modo da Lucia Annunziata che introduce diversi punti».

Di che tipo?
«Impegna l’Europa a mandare avanti in parallelo gli aiuti militari e l’impegno per i negoziati di pace. Un asse che non deve mai sbilanciarsi, per noi è fondamentale».

Bene, ma il sostegno incondizionato non è poi tanto tale se la condizione è che l’Ucraina non deve eliminare le postazioni missilistiche russe che la colpiscono, ma deve limitarsi a parare i colpi che cadono sul proprio suolo…
«Un giudizio generale sul documento è positivo per noi del Pd e per S&D. Perché abbina l’azione militare all’azione diplomatica e dice che prima di ogni cosa è fondamentale arrivare alla pace. Una sottolineatura importante. Dopodiché la discussione è stata sull’articolo 8…»

Appunto, ed è quello ad essere decisivo. Perché l’aggressore andrebbe fermato prima di aggredire, è il principio su cui si basa, per dire, la legge sulle aggressioni sessuali. Si deve cercare di scongiurare l’aggressione prima che abbia inizio, non limitarsi a difendersi una volta colpiti.
«Io su questo ho votato contro perché io e la maggior parte del gruppo abbiamo grande preoccupazione che questo conflitto, dopo due anni e mezzo, possa conoscere un’ulteriore escalation. Su questo abbiamo votato contro riflettendoci a fondo, è chiaro. Anche se poi il testo definitivo, vista l’approvazione della maggioranza, è rimasto lo stesso».

E adesso, passata la mozione?
«Penso che dal punto di vista nazionale dobbiamo, noi del Pd, essere la forza del pacifismo pragmatico. Queste sono le parole che ho usato nelle nostre riunioni interne. Dobbiamo uscire da questa dicotomia tutta italiana per cui se sostieni la pace stai con Putin e se sostieni le armi stai con Zelensky. Siamo per l’Ucraina, a sostegno della sua democrazia e del diritto internazionale, perché quel Paese ha subìto una invasione ingiustificabile. Ma al tempo stesso siamo per una pace giusta, anche perché la pace si può fare solo dopo un negoziato. Né la Russia né l’Ucraina possono perdere la guerra. E quindi se non sosteniamo l’Ucraina non c’è una pace giusta, ma la resa di Kiev e la vittoria di Putin. Se sosteniamo l’Ucraina senza provare a trovare spazi di pace, rischiamo una guerra infinita e un’escalation militare. Con esiti terribili».

I riformisti hanno perso un’occasione per valorizzare la propria posizione?
«Quella del pacifismo pragmatico non è una posizione riformista? Non siamo per un pacifismo ideologico, ma neanche per una politica guerrafondaia. Cosa c’entra il riformismo con una politica guerrafondaia, non lo capisco. Penso che la strada giusta per un partito di centrosinistra sia quella di chi cerca la pace con soluzioni pragmatiche, concrete».

Per sedersi al tavolo delle trattative bisogna avere una posizione di forza.
«Non c’è dubbio e nessuno di noi mette in discussione il supporto all’Ucraina, ma le armi in Russia possono trascinare il conflitto su un altro livello, davvero fuori controllo».

Scusi, logicamente parlando: se mi devo difendere da un missile russo dovrò cercare di far saltare in aria la sua rampa di lancio. Che di solito si trova in Russia. Come faccio a difendermi da un aggressore senza metterlo in condizione di non nuocere? E’ un principio di base.
«È evidente che c’è anche questo aspetto. Non sarebbe però da escludersi che un missile partito per colpire quella piattaforma che dice lei, inavvertitamente possa colpire anche un obiettivo civile. E da lì in poi, scoppierebbe una scintilla difficile da contenere».

Lei vede segnali positivi, dal punto di vista negoziale?
«L’unico elemento che mi fa sperare in un negoziato è che nessuna delle controparti può vincere la guerra. La Russia non può accettare una débacle totale, l’Ucraina non può rinunciare alla legittima sovranità sul suo territorio. E davanti a un quadro politico così, il negoziato diventa obbligatorio, è l’unica via di uscita che prima o poi andrà imboccata».

Come valuta la novità del nuovo commissario europeo alla Difesa?
«Molto positiva: noi siamo nella Nato ma l’Europa deve avviarsi a un proprio modello di difesa. Deve avere sempre di più una sua politica estera ma anche di difesa. Rimanendo alleati degli Stati Uniti ma anche autonomi dal punto di vista della difesa. Non possiamo pensare di delegare la nostra sicurezza agli Stati Uniti».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.