Massimiliano Salini, vicepresidente del gruppo Ppe, eletto con Forza Italia nel collegio Nord-Ovest, ieri ha votato Sì alla mozione di sostegno all’Ucraina e Sì all’articolo 8, per manifestare pieno consenso all’uso delle armi ovunque l’Ucraina ritenga: il territorio russo da cui partono gli attacchi, principalmente. Salini ha votato come il Ppe, ma è rimasto una mosca bianca tra gli eurodeputati italiani.

Un voto importante, sull’Ucraina. Sul quale lei ha tenuto il punto, senza timori.
«Abbiamo avuto un lungo percorso di discussione solida e approfondita, non priva di drammaticità: l’importanza delle conseguenze delle nostre azioni sul futuro dell’Ue e dell’Occidente nel suo complesso».
Una discussione accesa?
«Accesa, ma non da polemiche. Dalla gravità dettata dalla pagina di storia che stiamo contribuendo a scrivere. La complessità delle posizioni che si sono espresse in una risoluzione che vede molti gruppi coinvolti a condividere il contenuto, anche se non tutte le parti della risoluzione sono state condivise da tutti».
Lei però lo ha sostenuto pienamente.
«Sì, perché il compito che ha l’Unione europea in questo momento è quello di non entrare solo nei dettagli sul metodo per finanziare gli aiuti, in proporzione all’impegno dei singoli paesi. Quello che va chiarito, prima di tutto, è da quale parte della storia stiamo. E con quanta responsabilità dobbiamo accingerci a prendere decisioni che non toccano solo i bilanci ma le posizioni sullo stato di diritto internazionale».

Non è in discussione solo l’Ucraina, insomma, ma noi tutti?
«Guardi, l’aggressione che è stata fatta non è contro l’Ucraina. È stata fatta un’aggressione di tipo bellico all’Occidente, attraverso l’Ucraina. Aggressione figlia di un asse anche economico molto preoccupante in chiave antioccidentale tra Cina, Russia e Iran. In questo enorme carico di complessità geopolitica noi abbiamo innanzi tutto il dovere di chiarire a noi stessi e ai cittadini che Occidente vogliamo, qual è il prezzo che siamo disposti a pagare per avere un futuro di democrazia e di pace».
Ha ricevuto pressioni, indicazioni da Roma su questo voto?
«No. C’è una linea di governo, una linea della maggioranza. Parlo per i parlamentari di Forza Italia: a nessuno è impedito di esprimere in modo libero una posizione personale. Io naturalmente non ho chiesto alcun tipo di forzatura al mio gruppo, essendo vicepresidente del gruppo Ppe».
Cosa direbbe ai suoi colleghi che hanno votato No alla mozione, o che si sono astenuti?
«Ritengo pienamente legittima la loro posizione, non trovo incoerenze enormi tra la linea del Partito popolare europeo e quella tenuta dalla maggioranza dei parlamentari italiani. Ci siamo differenziati su questo elemento specifico, l’art.8, la possibilità di attaccare nel punto di partenza delle basi militari russe, come strumento di legittima difesa. Ma è una differenza di posizioni che non ha suscitato particolari polemiche».

L’Ucraina ha diritto di difendersi annientando la forza offensiva della Russia prima che uccida, è questo il principio che sostiene con il suo voto?
«Sì. Sono fortemente legato all’idea della proporzionalità della difesa rispetto all’offesa. Mi sono costruito una posizione culturale in ordine alla pace che affonda le sue radici per come viene definita nella Dottrina sociale della Chiesa, nel catechismo. Non è impedita la legittima difesa, anche armata, a condizione che sia proporzionata all’offesa. Un tema che va tarato nel tempo in cui l’offesa si realizza. Immaginare che l’Ucraina possa difendersi senza attaccare le basi che le attaccano a mio modo di vedere significa non compiere in modo adeguato la nostra garanzia di difesa al popolo ucraino. Giustamente, si è votato per procedere come si è proceduto».
La nuova Commissione europea ha voluto, con una decisione di Ursula von der Leyen, un Commissario alla Difesa. Quale sarà il perimetro del suo incarico?
«Il collega e amico Andrius Kubilius ha un ruolo articolato: mette insieme due capitoli che hanno una disciplina diversa, lo spazio e la difesa. Sono particolarmente sensibile, da relatore del programma spaziale europeo. Lo spazio è una competenza condivisa, oggi la Ue ha una competenza che condivide con gli Stati membri, con una infrastruttura comune e un programma condiviso. La difesa è invece oggi ancora competenza degli Stati, non dell’Unione. Che competenza ha, dunque, la Commissione? Sull’industria della difesa. Un nuovo mandato che potrebbe comportare nel tempo la modifica dei trattati, sulla quale sarei perfettamente d’accordo».

In che termini potrebbe modificarli?
«Arrivando nel tempo ad avere spese legate alla difesa in un bilancio europeo, al di fuori dei bilanci nazionali. La partenza però è asimmetrica. Dobbiamo rendere quel portafoglio il più simmetrico possibile. Ricordo che l’idea di un esercito europeo era già di De Gasperi».
Quali sforzi si stanno facendo in Europa per costringere la Russia ad accettare di sedere al tavolo delle trattative?
«Il primo sforzo è quello dell’Unione europea: per arrivare a una soluzione diplomatica, da non confondere mai con la resa, bisogna poter negoziare da una posizione di forza. Bisogna chiarire all’avversario qual è la propria forza. Se si chiede una trattativa di pace con chi ha aggredito, senza alimentare la necessaria difesa, ci si arrende. Si finge di trattare per arrendersi. La diplomazia prevede regole: dare la forza di difendersi, fino alle estreme conseguenze della difesa, per costringere l’avversario a sedersi al tavolo della pace. Non esiste modello al di fuori di questo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.