Eravamo rimasti con Matt Damon abbandonato sul pianeta Marte in The Martian di Ridley Scott che per sopravvivere, salvarsi e ritornare sulla Terra, metteva in piedi una serra di coltivazioni. Fantascienza sì, ma neanche troppo. «Nello spazio non ci sono taverne, quindi diventa fondamentale rigenerare le risorse», spiega la Prof.ssa Stefania De Pascale, docente di Orticoltura e Floricoltura all’Università di Napoli Federico II e autrice di Piantare patate su Marte (Aboca Edizioni, 2024). «La ISS orbita a 400 km dalla Terra e la vita a bordo è garantita dai rifornimenti, anche se esistono già sistemi fisico-chimici per rigenerare risorse fondamentali, come l’acqua, con un’efficienza elevata.

Il viaggio

Tuttavia, serve ancora cibo e materiali dalla Terra». Ma cosa succede se le distanze aumentano e volessimo vivere su Marte? «Occorre cambiare paradigma: ridurre il bagaglio al minimo e rigenerare le risorse. Un viaggio su Marte durerebbe almeno 500 giorni, e il fabbisogno giornaliero di un astronauta varia tra 5 e 15 kg di rifornimenti, pari a tonnellate di materiali che non possiamo trasportare. Sarebbe come se ciascun componente dell’equipaggio portasse in valigia un elefante adulto. La rigenerazione delle risorse è la chiave. Sulla Terra questo avviene già grazie alle piante, che producono cibo e rigenerano l’aria con la fotosintesi. La ricerca internazionale sta lavorando per ricreare ecosistemi artificiali chiusi, con sistemi bio-rigenerativi di supporto alla vita: piante fotoautotrofe, organismi degradatori che riciclano la materia organica e l’equipaggio come consumatore».

Le camere di crescita

Il gruppo dell’Università di Napoli Federico II nel frattempo sta collaborando al programma Melissa dell’Agenzia Spaziale Europea che si occupa proprio di coltivazione delle piante nello spazio. Ma le sfide biologiche e tecnologiche crescono con la distanza dalla Terra. «Le piante sono già coltivate sulla ISS in camere di crescita chiamate salad machine. Nel 2015, Samantha Cristoforetti a Sanremo disse che desiderava un’insalatina fresca. Qualche mese dopo, gli astronauti hanno mangiato, per la prima volta nella storia, lattuga romana coltivata sulla ISS. La NASA pubblicò un post parafrasando Armstrong: “Un piccolo morso per l’uomo, un grande balzo per l’umanità».

Ortaggi freschi per l’equipaggio

Ora l’obiettivo è integrare nella dieta dell’equipaggio quantità sempre maggiori di ortaggi freschi e colture in grado di soddisfare il fabbisogno calorico, come patate, cereali e legumi. Sulla Luna e su Marte, con una gravità ridotta, si potranno adottare tecnologie avanzate simili a quelle delle serre terrestri. La missione Artemis, che riporterà l’uomo sulla Luna dopo oltre 60 anni per restarci, sarà un banco di prova per validare queste tecnologie». Ma quali vantaggi comporta tutto questo all’agricoltura sulla Terra? «Molte innovazioni spaziali sono già parte della nostra vita: previsioni meteo, sensori miniaturizzati, coltivazione in verticale e illuminazione a LED. Le serre in Arabia Saudita, ad esempio, riciclano il 90% dell’acqua grazie a tecnologie sviluppate per lo spazio».

Le serre riciclano l’acqua

Negli ultimi anni, la space economy ha attratto enormi investimenti privati, pensiamo ad esempio alla SpaceX di Musk. È la strada giusta? «Gli investimenti privati di questi anni sono stati certamente un grande catalizzatore per il progresso nello spazio, ma la ricerca va organizzata per step, non possiamo pensare di mandare uomini come cavie su Marte senza che ci sia una sicurezza massima. La corsa allo Spazio dei privati non ha interessi solo scientifici o romantici ma c’è chiaramente dell’altro. Mi auguro che le comunità internazionali intervengano per regolamentare tutto questo perché lo spazio deve essere a mio avviso innanzitutto democratico. Marte non è un pianeta B e credo che ci possa insegnare tanto sul nostro pianeta Terra e su come prendercene cura. Ci sono poi i grandi player statali che non hanno l’esperienza di Russia e Usa nei voli, ma che stanno investendo tanto come Cina a India. Bisognerebbe capire bene come condividere le conoscenze e renderle pubbliche in modo collaborativo e sinergico per il bene della Terra, dello spazio e dell’uomo».

Gianluca Lambiase

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