Julian Assange ha ottenuto la possibilità di potersi appellare contro l’estradizione negli Stati Uniti dal Regno Unito: sono stati i giudici dell’Alta Corte di Londra a consentirgli la possibilità questa mattina, davanti a decine di sostenitori riunitosi fuori dalla Royal Courts of Justice di Londra prima dell’udienza, dopoché a marzo, due magistrati, avevano rinviato la decisione sul destino giudiziario del fondatore di WikiLeakes, che rischia una condanna di 175 anni di carcere con le accuse (in totale 17 quelle di spionaggio) di aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato. I manifestanti si sono radunati  innalzando cartelloni con la scritta “Free Assange” chiedendo la scarcerazione dell’attivista e giornalista australiano. Presente anche sua moglie, Stella Morris, avvocata sudafricana, e il padre.

La preoccupazione per l’assenza di un giusto processo

La condizione essenziale per la decisione risiedeva nelle garanzie richiesta all’amministrazione Biden, ovvero che al ricorrente fosse consentito fare affidamento sul primo emendamento, “che il ricorrente non fosse pregiudicato durante il processo, compresa la sentenza, da ragione della sua nazionalità, che gli fossero concesse le stesse tutele del Primo Emendamento, tra cui la libertà di parola, di un cittadino degli Stati Uniti, e che la pena di morte non fosse imposta.

Il team legale di Assange non ha contestato le garanzie relative alla pena di morte, ma l’Alta Corte ha comunque ravvisato il pericolo d’assenza di tali presupposti, concedendogli la possibilità di fare ricorso in appello contro l’estrazione. I pubblici ministeri americani sostengono che abbia favorito l’intelligence dell’esercito americano Chelsea Manning mettendo a rischio vite umane.

Redazione

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